La storica Filippini ha parlato a Trento del rischio di sostituire interamente il processo naturale del concepimento con una procedura artificiale che ne toglie il valore sacro e insieme umanizzante
"Il controllo sul corpo femminile e il dominio della tecnica hanno sostituito la dimensione sacrale della nascita. La tecnologia non è un male, dipende da come è usata, ma stiamo andando verso la morte della madre, cancellata dal punto di vista culturale e simbolico nella sua interezza e complessità: siamo all'interno di un percorso che prevede un futuro in cui non si nascerà più da una donna, conseguenza di una scorporazione già in atto della funzione materna per cui la donna è considerata semplicemente donatrice di ovuli o madre surrogata”.
È una delle evidenze di una scienza che si spinge oltre limiti della natura umana, arrogandosi il diritto alla "creazione di figli senza donne", messa in luce da Nadia Maria Filippini, già docente di Storia delle donne all'Università Ca' Foscari di Venezia, che ha concluso sabato scorso l'itinerario formativo "Nascita e rinascita", promosso dall'Associazione O. Romero e da “Il Margine”, presso il convento dei Cappuccini. "Nasciamo tutti da un corpo femminile, ma la costruzione culturale e filosofica di matrice greca ha svilito la capacità generatrice delle donne, privilegiando quella maschile di produrre pensieri e opere che rendono immortali", ha esordito Filippini, offrendo un prezioso approfondimento sul tema a partire dal testo "Generare, partorire, nascere" (Viella, 2017), che è frutto di una ricerca ultratrentennale.
"Il parto è un evento, non un'operazione medica – ha osservato la storica -, ma la nostra società ha estromesso dal contesto familiare i due momenti fondativi della vita umana, nascita e morte, trasferendoli in ospedale e lasciando che a gestirli siano medicina e tecnica. Vi è poi l'esigenza di controllo maschile che dipende dall'invidia per la capacità delle donne di mettere al mondo un nuovo essere umano, unita al sogno di creare la vita, sostituendo interamente il processo naturale del concepimento con una procedura artificiale". Generare è un'esperienza piena di significati, soggettivi e collettivi, simbolici e rituali, ma lo sganciamento del dato biologico da quello sociale, già in atto con paternità gestite da coppie di uomini tramite maternità surrogata, è accompagnato da uno scontro radicale tra posizioni diverse e spaccature anche nel mondo femminista: "Invocare leggi e l'intervento dello Stato è assurdo, questa materia non si affronta con il proibizionismo: è un passaggio culturale che va elaborato e discusso attraverso il recupero di ciò che è e rappresenta la maternità". Il rischio più grande è quello di spezzare il nesso tra la dimensione corporea e quella relazionale che rende strettamente interdipendenti donna e nascituro attraverso la placenta, organo ancora poco studiato nelle sue funzioni, atte a trasmettere ciò che è necessario per una crescita armoniosa del feto nell'utero, e la questione della denatalità in Europa è la sfida del futuro.
"La tecnica consente di procastinare la decisione di mettere al mondo un figlio – ha concluso Filippini -, ma il problema reale è che nella nostra società si parla di maternità esaltandola, senza però garantire supporto concreto in termini di servizi e di garanzie a tutela del lavoro".
Il testo, corredato di una sezione di immagini dedicata a opere sulla natività, comprende anche una ricca "Bibliografia ragionata" che, lungi da qualsiasi pretesa di esaustività, illustra l'ampio panorama dei testi principali usati dall'autrice nella stesura. Il corso si concluderà con un incontro aperto alla cittadinanza dedicato a “La natività nell’arte” tenuto dalla storica dell’arte Maddalena Ferrari venerdì 4 maggio nella Sala Arazzi del Museo Diocesano Tridentino di piazza Duomo, a Trento. E sarà il primo passaggio di un ciclo sulla figura della Madonna nell’arte (vedi sopra).
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