L’incapacità di riconoscere il limite

Con la figura di Narciso si è chiusa la serie di incontri promossi dal Collegio Arcivescovile insieme a Fidae e Agesc

"Narciso ama tutto, ma questo tutto lo chiama se stesso: la sua è un'apertura che in realtà non abbraccia nulla. Si guarda non perché è bello ma perché è muto, mentre la ninfa Eco, che sa solo ripetere la sua ultima parola, è sorda. Entrambi indicano l'impossibilità di un confine, di una parola, e perciò di amore: è l'amore che permette di esprimersi, invece non riescono a parlarsi". Ha delineato così la malattia del narcisismo Arnaldo Colasanti, scrittore, critico letterario, autore e conduttore radiofonico e televisivo, ospite dell'ultimo incontro del ciclo "I nemici dell’educazione”, dedicato alla figura mitologica di Narciso, promosso dal Collegio Arcivescovile insieme a Fidae e Agesc, svoltosi giovedì 1 marzo all'Istituto, a Trento.

"Questa è una storia di disperazione: Narciso non riesce a mettere un limite e il volere tutto se stesso non gli permette di conoscersi, Eco è colei che non riesce a parlare. Rappresentano due forme di narcisismo e il dramma dell'incomunicabilità", ha esordito Colasanti, introdotto da un filmato realizzato dagli studenti delle classi prime, con interviste per le vie della città e agli alunni delle classi elementari.

"Il linguaggio nasce quando si mette un limite alla facoltà di dire tutto – ha proseguito lo scrittore -. Il mito non racconta la negatività dell'io: l'io inteso quale anima, la bellezza, ossia la grazia della vita, e l'amore inteso come potere modale – poter amare, leggere, studiare, costruire, camminare – ci salvano. Ciò che è patologico è non rispettare il principio del limite: oltrepassarlo fa sì che l'io diventi ego che consuma e ostacola la naturale voglia di capire dell'uomo".

Narciso crede di realizzarsi, invece è inchiodato alla sua immagine, qual è dunque il rapporto tra desiderio e limite? "Non c'è nulla di male nel sentire la volontà di essere se stesso, ma ognuno deve scoprire cosa ciò significa: se il desiderio è costituito sull'illimitato, non posso avere niente e sarò sempre insoddisfatto, preda del mancato appagamento. Gesù dice ai discepoli che ha fatto di tutto per mangiare la Pasqua con loro prima di morire: questo è il desiderio, che si esprime e si compie quando puoi soddisfare il tuo cuore. Esso è la realizzazione dell'amore, ma Narciso ed Eco non riescono a concretizzarlo perché manca loro la parola, il rapporto diretto con l'altro che implica accettare la nostra umanità, fatta di limiti e difetti, ma anche di intelligenza e genialità".

Secondo lo scrittore, bisogna provare a diventare l'acqua nella quale si essi specchiano perché permette la trasformazione, simbolo di femminilità e del parto. "Il giovane ricco a cui Gesù disse di vendere tutto è narciso perché non ha nutrito gli altri con la fatica del suo lavoro, il desiderio invece è cura, tutela, conservazione, nutrimento. Desiderio è creare il mondo ogni giorno, non consumarlo, imparando a vivere le difficoltà e le incertezze nella speranza che la vita abbia senso: è possibile essere felici su questa terra e amare, ma dobbiamo desiderarlo e crederci".

Nella chiesa di San Rufo, a Rieti, vi è un dipinto, citato da Colasanti, "L'angelo custode", in cui l'angelo sostiene in un protettivo abbraccio un ragazzo con la gamba gonfia: "Guardando attentamente, scopriamo che lo è anche quella dell'angelo: Dio accetta la disabilità delle creature e il desiderio che la nostra vita abbia senso ci rende vicini all'angelo e l'angelo a noi".

Desiderare è partorire la vita pur essendo tristi, considerando i quattro elementi di cui è costituita la verità: "Per gli ebrei, essa è tutto ciò che ci sostiene mentre ci muoviamo, ciò che ci tiene in vita, rappresentato dal tenere un piede fermo mentre l'altro si muove per andare; per i greci è tutto ciò che non si dimentica, infine è tutto ciò che è sacro, che vale e tutto ciò che esiste".

Desiderare è restare uomini, ossia non vivere nella follia della volontà di potenza, nella cecità del volere tutto, e misericordia è desiderare questo per l'altro: il camminare pur disabili, creativi anche se limitati. "Noi – ha concluso lo scrittore – siamo coloro a cui è stato concesso di dare nome a tutte le cose: desiderandole, le creiamo e nel nostro desiderio possiamo diventare a immagine di Dio".

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