“Nulla è più inedito di quanto già pubblicato” è una di quelle frasi – attribuita ad Umberto Eco – che i giovani cronisti si sentivano ripetere nelle redazioni dove si scriveva ancora a macchina e dove gli scritti che non funzionavano finivano accartocciati nel cestino della carta da buttare. Così è successo anche per la storia della fontana della Madonna del Monte di Rovereto che ho raccontato nell’ultimo Oblò: quella fonte dove nell’inverno del 1916, soldati dell’una e dell’altra parte, divisi da una linea del fronte che li obbligava a vivere in trincea, si ritrovavano “affratellati” a condividere la medesima acqua e, talvolta, ad aiutarsi reciprocamente per mettere in spalla i pesanti contenitori da trasportare in quota.
Una storia che racconta una dimensione poco conosciuta della guerra, fatta di umanità e incapacità di comprendere il motivo per cui l’altro è “un nemico”, che sempre ha lasciato il posto all’esaltazione delle azioni belliche, all’epica del “sacrificio per la Patria”, alla narrazione delle gesta eroiche che a volte erano semplicemente scelte obbligate perché chi indietreggiava veniva passato per le armi.
Ma non c’è solo la storia della fontana di Rovereto, ce ne sono tante altre come ci ricorda Alessandro Osele, lettore attento di Vita Trentina, bibliotecario e archivista per lavoro e ora per passione (a lui si deve l’indicizzazione dei testi e ora anche dellle foto di Strenna Trentina: un lavoro certosino, meritevole di essere conosciuto ed apprezzato. C’è la storia raccontata da Gino Callin Tambosi su Strenna Trentina del 1986. “Fratellanza sopra i fili spinati” racconta dell’ultimo anno della Grande Guerra, dopo Caporetto, sull’Altipiano di Asiago: Alpini da una parte, Kaiserschuetzen dall’altra. Lo stesso ordine – “resistere” – e la forza dell’umanità che, per i soldati trentini in divisa italiana, si manifestò con la richiesta di poter mandare delle lettere a casa, per comunicare notizie, per far sapere che si era vivi. “Ehi! Voi! Di dove siete?”, una frase di assoluta normalità, urlata da una trincea all’altra, la voglia e il bisogno di stabilire un contatto. Una banale domanda che trasforma il nemico in “vicino”, nulla di più antitetico della guerra. “Nelle valli dietro di noi ci sono le nostre famiglie. Da mesi non sappiamo nulla di loro. Ci mandereste giù le nostre lettere?”. Vi furono lunghi minuti di silenzio, racconta Gino Callin Tambosi, poi finalmente una risposta in cui pochi osavano sperare: “Portatecele domani, a quest’ora!” “In barba a tutte le regole di guerra, dall’Altipiano di Asiago scesero i corrieri per portare le lettere degli alpini in Valsugana e fino a Feltre e a Belluno”. “Ma l’incredibile avvenne alcuni giorni dopo quando un sacco di posta fu gettato dalla trincea austriaca a quella italiana. I KaiserSchuetzen avevano portato anche le lettere di risposta”.
Sempre da Strenna Trentina, Alessandro Osele recupera anche una seconda storia pubblicata nel 1997 e scritta da monsignor Lorenzo Dalponte: “1916! Natale di Guerra sul Cauriol”.
In questo caso, c’è un forte richiamo a vicende simili accadute su tutti i fronti della guerra in occasione del Natale: dalla tregua di alcune ore, allo scambio di doni. Nel racconto di Delponte, i soldati austriaci intonarono “Stile Nacht”, i soldati italiani risposero con “Tu scendi dalle stelle”. Canzoni di pace, di fratellanza, di preghiera al medesimo Dio, nel cuore di una guerra che il Papa di allora aveva definito “l’inutile strage”. Parole non dissimili e con il medesimo spirito di quelle usate oggi da Francesco. Allora, come oggi, accolte con supponenza da chi si ostina a ragionare con l’elmetto in testa e a rivendicare “soluzioni giuste” per accettare strade di pace. Ben sapendo che la storia ci insegna che quelle del dialogo sono le uniche “strade giuste”.
“Sull’insensata e crudele guerra combattuta su quelle montagne, e su tutte altre, si leggono con interesse i bollettini dei supremi comandi militari. Hanno sempre un linguaggio retorico, trionfalistico, privo si sentimenti umani. Parlano rare volte del sacrificio e della morte dei soldati”, conclude Lorenzo Dalponte.Oggi come allora, come ci ricorda Strenna Trentina. Davvero, nulla è più inedito di ciò che è già stato pubblicato.
Lascia una recensione