Il voto mina l’asse franco – tedesco

Bruxelles, 9 giugno 2024: notte elezioni europee nel Parlamento europeo – (Foto Calvarese/SIR)

Quasi tutto, se non proprio tutto, era già stato previsto nei sondaggi di opinione alla vigilia del voto del Parlamento europeo. In parte la facilità delle previsioni è dipesa dal fatto che non esiste un’unica legge elettorale europea e neppure uno stesso giorno di votazione.

Quindi gli exit poll dei Paesi che avevano votato per primi (da giovedì in poi) hanno ancor meglio orientato i sondaggisti a mettere a fuoco i probabili risultati. Non erano quindi sfuggite le clamorose elezioni in Francia dove la vittoria della destra di Marine Le Pen sul partito del presidente Emmanuel Macron è poi stata confermata dai risultati ufficiali. Neppure le difficoltà in Germania del cancelliere Scholz che vedeva crollare i suoi socialisti al terzo posto dopo l’estrema destra di Alternative fur Deutschland creavano più di tanta incredulità. Le vere sorprese sono invece arrivate dalle reazioni interne seguite alle sconfitte ed in particolare dal fulmine a ciel sereno dello scioglimento del proprio governo da parte del Presidente francese Macron. In un drammatico messaggio alla nazione Macron ha infatti dichiarato di interpretare il massiccio voto in favore dei partiti di destra come la volontà popolare di cambiare la compagine di governo. Macron non era obbligato a questo passo poiché il sistema presidenziale francese lo mette al riparo dalle turbolenze politiche interne. Per di più una decisione del genere, che è stata presa nel passato solo 5 volte, di solito non porta fortuna. L’ultimo caso è stato nel 1997 allorquando Jacques Chirac allora presidente mandava a casa il primo ministro Alain Juppè ormai sgradito all’opinione pubblica. Ma a quel punto, nominando un esponente dell’opposizione, Chirac fu obbligato ad una difficile coabitazione che ne limitò enormemente i poteri presidenziali. Vi è quindi da chiedersi quali ragioni abbiano spinto Macron ad accelerare l’appuntamento per elezioni nazionali anticipate ad urne europee ancora calde di risultati negativi per il partito del presidente.

È infatti probabile che il doppio turno del 30 giugno e del 7 luglio non cambierà radicalmente il quadro politico uscito dalle europee. Neppure la speranza che al secondo turno i francesi spaventati dalla prospettiva di essere governati da Jordan Bardella, il pupillo di Marine Le Pen, decidano di ritornare a votare per il partito del presidente. È quindi pensabile che dalla eventuale coabitazione con l’opposizione Macron ne uscirà ancora più indebolito e che i prossimi tre anni di presidenza saranno una corsa ad ostacoli.

Tutto ciò avviene oltretutto in un momento di parallelo indebolimento del cancelliere tedesco Olav Scholz, che se non obbligato a cedere il potere e ad indire elezioni anticipate o a nominare un altro esponente della sua maggioranza alla cancelleria (sulla base del sistema tedesco di sfiducia costruttiva), non avrà la stessa capacità di governo dei mesi passati anche perché gli alleati di governo, verdi e liberali, hanno accompagnato i socialisti nel crollo elettorale.

A ben guardare, quindi, da questa tornata elettorale per il Parlamento europeo ad essere colpito drammaticamente è il cuore stesso dell’integrazione europea. Francia e Germania sono infatti da sempre considerati il motore dell’Europa, poiché è solo dal loro accordo che si possono manifestare i progressi nelle politiche europee. Lo si è visto recentemente sul tema dell’Ucraina dove alle accelerazioni di Macron su un maggiore impegno dell’UE anche sul fronte dell’intervento militare era necessario attendere il tormentato beneplacito di Berlino con l’invio di ulteriori sistemi di difesa antiaerea per la protezione dei cieli ucraini dagli assalti russi. Solo in questo modo le iniziative anticipatrici del presidente francese potevano raggiungere la necessaria soglia di credibilità nei confronti della Russia. Ciò spiega come i sommovimenti politici in Francia e Germania dovuti ai risultati elettorali europei siano stati visti dal Cremlino come un’inattesa opportunità per rafforzare le politiche espansioniste di Vladimir Putin nei paesi limitrofi dell’Est, dall’Ucraina alla Georgia. L’asse franco-tedesco in grave difficoltà interna rappresenta infatti un elemento di ulteriore frammentazione della UE sul tema cruciale dell’aiuto, anche militare, da offrire a Kyiv. Ad una diminuzione del sostegno all’Ucraina si appellano infatti molte forze politiche nazionali, anche di destra o estrema destra, che vorrebbero chiudere il capitolo ucraino lasciando mano libera a Putin di riaffermare la propria influenza sull’Europa dell’Est. Se quindi i risultati elettorali complessivi delle elezioni europee hanno confermato gli equilibri all’interno del Parlamento con le forze di centro destra moderate, il PPE che addirittura aumenta, ed i socialisti di poco diminuiti con l’aggiunta dei liberali di Macron (questi ultimi sì decimati) è ben vero che la crescita impetuosa delle destre renderà in ogni caso difficile la gestione del Parlamento europeo. Ne subirà le conseguenze negative anche il prossimo presidente della Commissione che dipende dai voti del Parlamento europeo. Se sarà quindi ancora una volta Ursula von der Leyen (come appare probabile) essa dovrà cercare le alleanze politiche non solo nel tradizionale gruppo dei partiti filoeuropei (conservatori, socialisti e liberali) ma richiedere di volta in volta il sostegno di altri partiti, anche di destra, che facciano da ponte e scudo all’opposizione della destra estrema. Di qui lo sguardo rivolto a Giorgia Meloni che con la von der Leyen ha condiviso nel passato diverse iniziative. Ma in ogni caso la prossima legislatura si presenta assai difficile e piena di possibili sorprese.

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