I lavori di restauro alla sacrestia capitolare del Duomo di Trento “svelano” un luogo nevralgico forse usato anche come sala della giustizia vescovile
La sacrestia capitolare si colloca in un’area nevralgica posta fra la parete settentrionale delle due antiche cappelle sovrapposte di san Giovanni e san Biagio, consacrate il primo novembre 1071 dal vescovo di Feltre, Thiemone e da quello di Trento, Enrico, e la parete meridionale dell’antico palazzo episcopale che si estendeva verso nord, per saldarsi, nella porzione terminale, alla possente torre quadrangolare fondata sulla porta romana.
È impossibile stabilire, sulla base delle attuali conoscenze, lo sviluppo del palazzo nelle sue fasi più antiche anche se è da ritenere plausibile l’ipotesi, che questo non si sviluppasse unitariamente, come appare oggi, ma fosse costituito da più costruzioni eterogenee sviluppate all’interno di un ambito fortificato.
L’immagine di Andrea Vavassore stampata a Venezia nel 1562 restituisce ancora questa situazione molto articolata, dove sulla piazza sembrano affacciarsi due unità edilizie distinte, una delle quali, quella adiacente al castelletto, costituirebbe l’ambito della futura sacrestia capitolare.
Il restauro appena concluso, condotto in maniera esemplare da Carlo Emer, che ha saputo unire alla sapiente abilità manuale, le doti di serio e autorevole studioso, ha permesso di accertare la forte differenziazione costruttiva delle murature settentrionale e meridionale della sacrestia, suggerendo l’ipotesi di fasi edilizie autonome e cronologicamente distanti.
Questa lettura porterebbe inoltre a ritenere questo spazio, almeno in antico, occupato da una corte aperta entro la quale si sviluppavano una serie di percorsi lignei verticali e orizzontali a servizio delle varie parti del palazzo con la cappella superiore che aveva, proprio in corrispondenza del prospetto settentrionale, uno dei due accessi originali e antichi, perché realizzati in fase con la muratura.
La corte, coperta e inglobata già nel medioevo, potrebbe essere stata utilizzata quindi come sala della giustizia vescovile. Nel gennaio 1579 in occasione della visita pastorale in cattedrale da parte del vescovo Ludovico Madruzzo, il primo piano accessibile dalla cappella di san Biagio risulta utilizzato come magazzino forse a servizio del collegio canonicale che aveva come luogo proprio per le riunioni, la stessa cappella.
Forse proprio in relazione alle scelte fatte dal Madruzzo al termine della visita pastorale che prevedevano fra l’altro il trasferimento dei canonici nella “sacrestia magna” posta a lato del prospetto meridionale del castelletto, fu deciso il tamponamento del collegamento con la cappella e l’apertura di un ampio varco per il collegamento con il palazzo.
Il ciclo pittorico rinvenuto per frammenti sotto le lunette della volta settecentesca, potrebbe coincidere con questa fase di trasformazione della sala, ma l’impossibilità di eseguire sondaggi più estesi per problemi di stabilità della volta, ha lasciato aperti, almeno per il momento, molti interrogativi.
Nel 1676 i lavori di parziale ricostruzione della porzione meridionale del palazzo eseguiti da Sigismondo Alfonso Thun comportarono la realizzazione delle grandi finestre seicentesche distribuite su due livelli simmetricamente allo stemma dedicatorio, ma non interferirono con l’organizzazione spaziale interna.
Nel 1739 l’aula subì le pesanti trasformazioni indotte dall’abbassamento del piano presbiteriale medioevale per la costruzione del nuovo baldacchino tardo barocco e quindi adibita a sacrestia capitolare e dotata dello splendido mobilio intarsiato, ora in fase di restauro.
È curioso notare come, a pochi anni dalla loro realizzazione, con grande lungimiranza ed intelligenza, un decreto capitolare del 20 dicembre 1748 legò i canonici all’obbligo di conservare gli scudi dipinti sopra ogni armadiatura a memoria dei donatori che li fecero eseguire.
L’antichità del luoghi che precedono nel tempo la nascita del principato vescovile, la dignità e l’importanza del ruolo simbolico che da tempo immemorabile hanno esercitato nei confronti della comunità ecclesiale e civile della città, la bellezza delle murature in conci lapidei del castelletto, vera e propria casa torre di eccezionale interesse per la doppia, originaria sovrapposizione delle cappelle di san Giovanni e san Biagio coronate dall’”appartamento privatissimo” di Federico Vanga, esigono grande rispetto da parte di una comunità di persone, che deve trovare nella conoscenza della propria storia non la tentazione di uno sterile ritorno al passato, ma piuttosto il coraggio per affrontare consapevolmente il futuro.
Michele Anderle
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