Con uno stile ribelle alle convenzioni del tempo, Fogolino è capace di estrarre dalle figure sacre una profonda umanità
Certamente il principe vescovo Bernardo Cles non poteva supporre che, ospitando sotto la sua protezione Marcello Fogolino – un friulano cresciuto artisticamente a Vicenza e sospettato di omicidio di un barbiere – avrebbe visto di giorno in giorno fiorire di bellezze pittoriche le pareti e le tele del suo Palazzo Magno che stava costruendo tra il 1528 e il 1533.
Questa sontuosa dimora cinquecentesca è la sede in cui Marcello Fogolino si erge quale protagonista di un rinnovamento artistico secondo criteri rinascimentali.
La città di Vicenza tra il ‘400 e il ‘500 donò a lei stessa e al mondo l’urbanesimo architettonico per eccellenza. Proprio da questa capitale del lusso abitativo Fogolino importò a Trento – crocevia di mediazioni commerciali e culturali tra il sud e il nord d’Europa – la cultura rinascimentale, creando un nuovo linguaggio pittorico di frontiera.
Non importa se in lui si rispecchiano i vari Romanino, Pordenone, Antonello da Messina e altri grandi Maestri che lui seppe fondere in nuove cifre ispirative, ricche di suggerimenti dell’arte nordica e del suo dinamismo creativo.
Il merito della rivalutazione di questo pittore e dell’altro suo contemporaneo, Francesco Verla, pure vicentino, si deve al responsabile delle Gallerie Vicentine – Giovanni Villa – che ha allestito la mostra al Castello del Buonconsiglio in armonia con la direttrice dei Musei del Castello, Laura Dal Prà. L’intitolazione della mostra contiene un sentore di freschezza in armonia con il carattere esuberante del pittore: “Ordine e bizzaria. Il Rinascimento di Marcello Fogolino” (fino al 5 novembre 2017).
Ci si inoltra tra sale, cunicoli, rifugi signorili ottogonali e circolari affrescati dal Fogolino o improvvisamente accolti dalle sue maestose tele in cui si individuano – come già detto – tracce evidenti della scuola di Romanino, Pordenone, Antonello da Messina, di Raffaello, ma sempre innalzati a una sua impronta originale che manifesta la sua indole esistenziale, ribelle alle convenzioni e alla severità delle scuole classiche.
Si veda ad esempio nella grande tela della Madonna delle stelle la cromaticità vivacissima e l’audace svolazzare dei cherubini in assoluta libertà vacanziera, mentre alla base rende omaggio alla sua Vicenza, offerta in una dettagliata e mirabile descrizione.
Ancor più esplicita la sua visione tra il pagano e il rispetto devozionale si scorge nella pala dell’adorazione dei Magi in cui, pur soffermandosi sul mistico omaggio degli astrologi orientali, dà l’avvio nel lungo corteo alla sua visione festaiola della vita. Per questa sua spiccata esuberanza esistenziale questo pittore è capace di estrarre dalle figure sacre le effusioni più emotive e di profonda umanità come nel monumentale gruppo della Madonna in trono: la madre di Dio rompe la sua statuarietà avvicinandosi al suo Bambino con radioso atteggiamento materno. Ricrea con tocchi personali e raffaelleschi, colmi di lirismo amoroso, il volto della Vergine Maria nell’icona della “Vocazione di San Pietro e Paolo”.
Contemporaneamente si è inaugurata una notevole mostra al Museo Diocesano di Trento dal titolo “Viaggi e incontri di un artista dimenticato: il Rinascimento di Francesco Verla dal 8 luglio al 6 Novembre 2017” (vedi Vita Trentina n. 28/2017). Questa mostra fa riemergere il valore artistico di un altro pittore vicentino, Francesco Verla, anch’egli dominatore – ma in leggero tono minore rispetto al Fogolino – della scena del Rinascimento trentino in terra di confine nordico e messaggero dell’ingegno latino. Anch’egli con Fogolino ruppe, con l’arte rinascimentale, gli stilemi gotici di un territorio legato all’arte germanica, ingentilendo le sue icone con la sontuosità di tocchi alla Veronese.
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