Il prof. Silvano Zucal nel suo ultimo libro richiama la riflessione sull'evento ignorato dai filosofi contemporanei
“La nascita ci fa capire che la relazionalità per noi uomini non è un optional. E' elemento primario, esistenziale, fin dai primi nove mesi
Un Paese a forte decremento demografico deve riflettere seriamente sulla nascita
La nascita, grande sconosciuta. E’ il primo passaggio naturale e misterioso che ci avvia alla vita, molto indagato nei suoi aspetti fisiologici e discusso per quelli bioetici, ma ben poco esplorato dalla riflessione filosofica, almeno in Italia. Tanto si è scritto sul senso del morire, altrettanto poco del nascere. Ha rotto questa silenziosa “congiura” il docente trentino di filosofia teoretica Silvano Zucal, 61 anni, che pubblica con Morcelliana dopo 6 anni di lavoro un’opera apripista sul tema: “Filosofia della nascita”, un titolo promettente.
Prof. Zucal, lei aveva dedicato la sua tesi e il suo primo libro al tema della morte in Karl Rahner. Da dove nasce questo interesse per la nascita?
Già, può sembrare paradossale. Ma mi ha colpito qualche anno fa constatare il fatto che il Italia il tema della nascita è totalmente ignorato nel suo significato. Fa discutere per le dispute bioetiche, ma è ignorato nella sua valenza simbolica, diversamente da quanto accade in Francia o in Germania. Lo trovo perlomeno strano in un Paese come il nostro che soffre un forte calo demografico.
Il tema appare forse ovvio, scontato…
Ma non è così. Partendo proprio da questa latitanza della ricerca italiana sul tema ho cercato di ripercorrere il pensiero filosofico sulla nascita dalla classicità ai pochi pensatori italiani moderni….
Possiamo parlare di una rimozione della nascita, come si diceva della morte?
Sì, almeno nella ricerca sul suo significato. Ci fermiamo agli aspetti tecnici, c’è poco interesse per la dimensione simbolica. I filosofi contemporanei che se ne occupano osservano quanto sono importanti per la vita anche i nove mesi precedenti al parto, durante i quali noi “nasciamo” dentro il grembo della madre. C’è chi ad esempio parla di un’iniziazione psicoacustica che precede la nascita.
La psicologia prenatale e le neuroscienze dicono la loro. E la filosofia?
Non invado questi altri ambiti, ma non c’è dubbio dell’importanza della relazione primaria che noi viviamo nel grembo della madre e poi nella prima infanzia. Comprendiamo che la relazionalità per noi uomini non è un optional, o una scelta di tipo morale. No, è esistenziale. C’è un radicamento affettivo che ci porta a percepirci non come un io autosufficiente, ma come bisognosi di relazioni. Come se cercassimo di essere di nuovo quello che siamo stati nel grembo della madre.
Anche lei per questo è critico rispetto a pratiche come l’utero in affitto che staccano il figlio da chi lo ha portato in grembo.
Ripeto che il mio approccio non è bioetico, ma disconoscere l’importanza di questa relazione primaria diventa una ferita. Sia per il figlio che per la madre. Non possiamo mettere tra parentesi quanto è successo in quei nove mesi.
“Bello è non essere nati”, si diceva nel mondo greco, nella visione negativa del cosiddetto mito di Sileno. Anche alcuni passi dell’Antico Testamento – da Isaia a Giobbe – connotano in modo talvolta doloroso il venire al mondo.
Poi però arriviamo al Nuovo Testamento, allo “Scandalo a Betlemme”, come ho titolato il capitolo sull’incarnazione. Perché la nascita di Gesù in una mangiatoia è un fatto molto significativo, sul quale altri potrebbero sviluppare anche una teologia della nascita: se Dio stesso sceglie di nascere da una donna si capisce quale sia la benedizione della nascita nella concezione cristiana. Hannah Arendt, filosofa di origine ebraica, dice a proposito che il miracolo che salverà il mondo è in definitiva il fatto della natalità e aggiunge: “ È questa fede e speranza nel mondo che trova forse la sua più gloriosa e stringata espressione nelle poche parole con cui il vangelo annunciò la lieta novella dell’avvento: ‘Un bambino è nato per noi’.
Ha citato la Arendt, ma anche la spagnola Maria Zambrano, sua autrice prediletta. S'avverte il genio femminile…
Assolutamente sì. E’ vero che del tema scrivono anche uomini, eppure il contributo di queste filosofe è molto originale. Entrambe leggono anche l’esilio in questa prospettiva; come ogni nascita è un passaggio impegnativo che comporta il taglio del cordone ombelicale. Non possiamo fermarci alla situazione intrauterina, dobbiamo accettare la sfida del vivere.
Da un concorso narrativo sulla nascita promosso dal Collegio ostetriche fra le madri trentine si ritrova tanto “stupore” e “dono”.
Il dono ha sempre un doppio registro, positivo e negativo (alcuni autori questo dono non lo avrebbero voluto), ma anche un valore duplice: per il neonato, ma anche per la madre, o il padre, o la famiglia. E’ un processo di donazione a catena che è sorprendente, stupefacente.
“La nascita è il sogno di Dio”, conclude un filosofo…
Una nascita è sempre terremotante, cambia imprevedibilmente le situazioni, introduce novità nella storia. Tanto che i dittatori, non a caso, han cercato di controllare le nascite – da Erode a Hitler – quasi a garantirsi un popolo prevedibile. Ma nonostante tutti i tentativi di pianificare, ogni nascita porta con sì qualcosa di sconvolgente, d'innovativo.
Ha un riflesso anche sociale, allora?
Non c’è dubbio che le società senza nascite sono statiche, rattrappite. Aldilà delle conseguenze sociali ed economiche del crollo demografico, una società dove si nasce poco perde il sapore di queste eventi sorprendenti, gratuiti.
L’ha illuminata ancora una volta Romano Guardini, suo grande autore.
Anche se era un sacerdote, dimostra che tutti possono parlare del senso della nascita, per il fatto di essere stati generati. Guardini ne parla come di un’età decisiva della vita. Anche Maria Zambrano, al punto da ritenere la vita un susseguirsi di disnascite e rinascite. E’ un tema fecondo, valorizza l’anzianità ma chiama anche i giovani a vivere in pieno il proprio tempo, cercando di non sedersi ma ripartire, ricominciare.
Dalla nascita torniamo alla morte….
Che per noi cristiani è la nascita definitiva. Al punto che forse invece che chiamarci mortali (l’alternativa era con gli dei immortali del pensiero greco) oggi dovremo poterci definire anche natali: quelli che sono nati, non solo quelli che devono morire.
Cosa si augura dopo questo lavoro di scavo…
Che altri possano proseguire l’aratura, anche se mi rendo conto che il tema nascita può diventare divisivo, come vedo dalla reazione degli studenti che lo affrontano nelle loro tesi. Contano molto anche i propri vissuti, ma mi auguro che si riesca a riportare un’attenzione seria su questi eventi chiave della nostra esistenza. Tanto più in un Paese a forte decremento demografico, che dovrebbe cominciare a riflettere seriamente sulla nascita.
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