“Quello che mi fa ritenere il cibo e la cucina qualcosa di importante, da cui non si può prescindere è la convivialità”
Se mai andasse al “petaloso“ del piccolo Matteo il via libera dell'Accademia della Crusca, altrettanto meriterebbe il “saporitoso” di Carmine Abate. Il correttore automatico lo sottolinea di rosso. Ma errore non è, anzi. Dicesi saporitoso qualcosa di irresistibile, intrigante, un ripieno di rimandi tutti da gustare. “Come la ‘frittatica (altro neologismo per frittata, ndr) mare e monti’ della nonna, mangiata sulla spiaggia di Punta Alice: cinque uova dalle galline nostre, sardella, tonno, funghi porcini e una cipolla rossa, sale e pepe quanto basta”. Parte da questo antipasto ed è un crescendo aromatico Il banchetto di nozze e altri sapori (Mondadori), ultimo lavoro dello scrittore ex-docente calabrese di Carfizzi, etnia arbëreshë (minoranza in fuga dall'Albania del XV secolo), emigrato in Germania sulle orme del padre e approdato infine a Besenello. Temi e linguaggio, tipici del romanzo di formazione, sono quelli a cui Abate (premio Campiello 2012 con La collina del vento) ha abituato i suoi affezionati lettori. Qui conditi, però, di fragranze inesplorate, quasi a suggello di un'autobiografia composita (una quindicina di titoli) che sembra preludio a nuovi personaggi e nuovi scenari. Ai quali – lo attendiamo al varco – starà di certo pensando.
Nel suo piatto letterario, Abate, il cibo in verità non è mai mancato. Qui diventa però il vero protagonista. L’approccio?
In effetti all'inizio ero come al ristorante con un menù sconfinato. Poi però sono partito dall'immagine del ricatto saporitoso di mia nonna… Quello che mi fa ritenere il cibo e la cucina qualcosa di importante, da cui non si può prescindere, soprattutto noi come scrittori, è la convivialità.
Dice che non c'è gusto a mangiare da soli?
Ho provato cosa vuol dire mangiare da soli, e nel libro lo racconto, ad esempio quando studiavo a Crotone. A mezzogiorno mangiavo con una famiglia, a sera ero solo e prendevo il pane fatto in casa che durava due settimane e prodotti che di solito mi facevano impazzire. Mangiati da solo mettevano però una tristezza incredibile. Superate le superiori ho deciso che avrei sempre mangiato con altri. Purtroppo mi capita ancora nei giri di presentazione dei miei libri…
Il cibo da sempre nei sui libri significa legame con i frutti della terra, quel ricercato “chilometro zero” spesso sacrificato sull'altare della globalizzazione. Perché tanta premura?
Ho sempre nutrito un profondo rispetto nei confronti della terra. Nel libro descrivo il passaggio tra il lavoro e il prodotto che arriva a tavola. Negli studi televisivi, dove spopola il cibo, sembra tutto di plastica, non si percepisce alcuna fatica. Io ho aiutato mio padre a raccogliere le olive: “Carminù, se vuoi l'olio scendi ad aiutarmi”, diceva. Partivo per la Calabria e, mentre l'aiutavo scuotendo i rami, a lui non sfuggiva nemmeno un'oliva, le cercava anche se cadevano distanti: “In ogni oliva c'è una goccia d'olio e non va smarrita”.
Non bastano i prodotti, il cibo nobile. Come dimostra il suo cuoco di Arbërìa, vero maestro di cucina, serve anche l'arte culinaria, gesti che, se pensiamo a un libro (e film) come “Il Pranzo di Babette”, assumono valore evangelico. Concorda?
Sto pensando a programmi come Masterchef e ai tempi che invece ci vogliono davvero per cucinare. La mamma si svegliava alle quattro del mattino per fare il sugo a fuoco lentissimo. Questa preparazione che richiede tempo e fatica fa' sì che la pietanza sia più… saporitosa, appunto. Il cibo non ha nulla a che fare con la formalità. E' sostanziale. Anche la lentezza da al cibo quella sacralità che lo rende non qualcosa da mangiare semplicemente per nutrirsi, ma ben più.
Abate, a che cosa ha dovuto rinunciare con maggiore sofferenza per la scrittura?
Personalmente a nulla, ma mi rendo conto che per la famiglia è stata dura. Quando si scrive si è sempre assorbiti perché sei concentrato nella storia, vai a mangiare e assapori la storia anche attraverso il cibo che stai mangiando. Poi non è solo scrivere, ma anche il lavoro di promozione dei libri.
Il traguardo più bello?
Oggi vivo scrivendo. E ripenso, come rammento anche ne “Il Banchetto di nozze” al mio primo libro, che non c'è nemmeno nelle biografie. Si chiamava “Il labirinto della vita”. Ero militare a Roma al Celio e alcuni amici che avevano letto le mie poesie adolescenziali avevano deciso di pubblicarle. Ne fecero stampare ottocento copie e nell'arco di sei mesi andò esaurito all'interno dell'ospedale militare. I commilitoni offrivano con una mano la licenza e con l'altra il libro a mille lire. Quelle ottocentomila lire guadagnate le utilizzammo per andare a cena insieme. La convivialità, ancora una volta, fondamentale per la mia vita.
Nella sua valigia di migrante, Carmine Abate cosa pesca volentieri?
L'estate dei miei sedici anni. Poco prima che io partissi per la Germania per lavorare in una fabbrica, guarda caso di alimentari, mia madre mi mandò in dispensa e lì vi trovai Anna Karenina, il primo libro della mia nascente biblioteca.
Che pensa del dramma emigrazione oggi?
Si rischia sempre la retorica. C'è grande differenza rispetto ad altre migrazioni. Ma la molla scatenante è la stessa: perché uno è costretto a lasciare la propria terra? Alla base c'è una costrizione perché, fosse dipeso da me, anch'io sarei rimasto in Calabria. Oggi dico che è “impossibile non accogliere” come ribadisce il sindaco di Riace, paese calabro capace di accoglienza incredibile. Ci sono profughi che vanno a ripopolare paesi abbandonati.
Le manca la vita da insegnante?
Tantissimo. In Trentino sono riuscito a realizzare le cose più importanti: insegnare e scrivere. Mi mancano i ragazzi, non la burocrazia che sta soffocando la scuola, mentre gli studenti dovrebbero rimanere centrali. Grazie all'attività di scrittore, vado spesso nelle scuole, non dico mai no. Chiedo solo che abbiano letto il libro: così esce l'insegnante che è in me. Io vedo nei loro sguardi la felicità dell'attesa.
Nel libro si parte da un banchetto di nozze per arrivare al suo pranzo nuziale. Frittatica della nonna a parte, una ricetta ce l'ha per i nostri ascoltatori/lettori?
Il cuoco di Arbërìa dice che non esiste alcun segreto nelle ricette. Semmai il segreto sta nelle mani di chi le prepara e nel palato di chi le mangia. E salutando gli sposi sussurra: basta con i rimpianti e la nostalgia, non servono a niente. Piuttosto assapora ogni giorno il meglio della vita, la sua bellezza, la sua bontà, insieme alla tua sposa e ai vostri figli. Questa la ricetta segreta. Auguri!
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