La traccia di don Dante

Una vita spesa in mezzo a conflitti di ogni tipo, restando sempre fedele a quello in cui credeva: condivisione, amicizia, compassione, accoglienza, distacco

Non una biografia, ma un libro di ricordi che delinea con tratti poetici e venature ironiche e divertenti il volto intimo di un uomo di Dio che ha vissuto nell'amore per gli uomini. In realtà non sono nemmeno memorie ma semplicemente vita. Quella che Piergiorgio Bortolotti ha vissuto per 30 anni accanto a don Dante Clauser (1923-2013) e ora travasata dal braccio destro, poi successore, in "Don Dante visto da vicino", edito da Il Margine che con questo volumetto realizza una sorta di trilogia dopo "La mia strada" (2005) e "Punto d'Incontro" (2006) come ha ricordato il direttore editoriale Paolo Ghezzi nell'introdurne la presentazione svoltasi domenica 2 ottobre al Punto d'Incontro di via Travai 1 a Trento.

Inserito nel ricco calendario di iniziative della "Settimana dell'accoglienza" promossa da CNCA Trentino-Alto Adige/Sudtirol, l'incontro ha offerto l'occasione per ricordare lo slancio utopico di don Dante, capace di immaginare e poi realizzare un "buon luogo" – casa d'accoglienza per senza dimora – come il Punto d'Incontro, conservando però un sogno, ossia che venisse chiuso, perché ciò avrebbe significato che non c'erano più persone emarginate: "Questa è un'utopia – si legge nel libro -, ma per me utopia è segno di speranza e la speranza è impegno per raggiungere la meta".

"Per me è stato un maestro alchimista ed è il suo modo di fare con le persone e il suo operato quotidiano ad avermi lasciato un distillato di insegnamenti su cui riflettere", ha detto nel saluto iniziale Michele Boso, vice-presidente della Cooperativa Punto d'Incontro, mentre il sindaco Alessandro Andreatta lo ha ricordato come vicino di casa, confratello di uno zio sacerdote, giornalista capace di condensare la sua saggezza in poche righe, parroco e prete degli ultimi: "La scelta per i poveri e la volontà di farsi amico di chi non ha amici è sempre stata presente in lui, le città hanno bisogno di profeti e lui è stato questo per Trento oltre che ambasciatore di una regione che sa accogliere senza nascondere la realtà di chi fa più fatica".

"Non bastano i documenti, occorrono persone che rendano vere le parole, esigenza fortemente sentita anche oggi, e la prima lezione di don Dante è stata questa – ha detto Marco Vincenzi in rappresentanza del Cnca nazionale evidenziando l'attualità del libro -: sapeva coniugare spiritualità e azione di cambiamento stando dentro la realtà e mostrando la necessità di fermentarsi a vicenda nell'incontro. In lui vi era un'eccedenza di umanità, intuizione e profezia che nasceva da una ricerca, da una mancanza, quella avvertita da chi non si accontenta e si fa carico non solo di se stesso ma anche della realtà in cui vive". Un richiamo forte per ognuno a rendere più umane le relazioni, ricordando che la "pasta comune di umanità prevale su ciò che ci distingue".

Con questo libro, Piergiorgio Bortolotti ha voluto ricordare i valori a cui don Dante si era ispirato, ma soprattutto il fatto di esserne stato testimone credibile, restando sempre fedele a quello in cui credeva pur vivendo in mezzo a conflitti di ogni tipo. A guidarlo furono condivisione, amicizia, compassione, accoglienza, distacco, cinque coordinate che lo hanno reso tessitore di rapporti con altri sacerdoti, e non solo, poiché credeva nel coordinamento fra i tanti "punti e luoghi buoni" disseminati in Italia. "Vera carità – ha detto l'autore delineando il ritratto del sacerdote – è mettersi nei panni altrui, condividendo gioie, limiti e bisogni; l'amicizia rimanda al concetto di amore, e, pur spiazzando a volte con i suoi comportamenti, egli faceva ogni cosa con compassione. Di fronte alla sofferenza altrui non riusciva a restare indifferente e cercava di portare sollievo, ma senza porsi su un piedistallo". Tutto ciò si concretizzava nell'accoglienza e nell'ascolto offerto a chiunque e nella capacità di sapersi distaccare anche dai propri progetti, esercizio necessario per imparare a diventare se stessi, cioè pienamente umani, non più identificabili da ruoli, titoli, incarichi.

E solo chi è pienamente umano e consapevole delle proprie fragilità come don Dante, lascia molte tracce del suo passaggio, abitando luoghi utopicamente reali, siano essi una casa o una panchina, in cui egli ha fatto spazio all'altro dentro sé accogliendo ogni uomo con la sua storia, punti che, uniti, rivelano "lo spartiacque, netto, tra chi serve, mettendosi a disposizione degli altri, e chi si lascia servire".

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