Se la politica italiana fosse meno incline a guardarsi l’ombelico, ci sarebbe tanto da discutere nella preparazione delle elezioni europee. Il mondo sta avviandosi sempre più verso un cratere, anche se non è affatto detto che finisca per forza col caderci dentro: la storia ci fornisce anche esempi di grandi conflitti evitati all’ultimo momento (per esempio la crisi dei missili sovietici a Cuba nel 1962). Tuttavia, per evitare di cadere nel sonnambulismo delle buone volontà astratte sarebbe necessario promuovere presso l’opinione pubblica la consapevolezza della gravità del momento presente: essa non dipende da uno scontro fra buoni e cattivi, per cui basterebbe individuare con nettezza torti e ragioni e imporre una giustizia al di sopra delle parti (e poi chi la potrebbe imporre?).
La questione israelo-palestinese è emblematica. Un leader stupido e incapace come Netanyahu è riuscito a capovolgere una situazione che vedeva una riprovazione universale per il gruppo terrorista di Hamas che ha realizzato un pogrom di ebrei, trasformandola in un contesto in cui Israele appare come una potenza senza scrupoli che per raggiungere l’obiettivo di sradicare Hamas ha sterminato civili inermi finendo per legittimare in qualche modo Hamas.
La situazione è divenuta esplosiva, perché a questo punto nessuna delle due parti in causa può accettare di essere sconfitta e dunque spinge il conflitto fino alla catastrofe finale. Cosa può fare l’Europa in questo contesto? Muoversi alla rinfusa come sta facendo non serve a nulla: velleitari i riconoscimenti di uno stato palestinese che al momento non esiste e che non si sa da chi potrebbe essere guidato; inutili le condanne altisonanti del tribunale penale internazionale; farisaico sostenere che si stanno facendo sforzi diplomatici per gestire la crisi quando si sa che la UE non ha le capacità per essere un attore di peso nel confuso quadro di questo momento.
Qualcosa di simile, pur con tutte le differenze del caso, si potrebbe dire per la situazione dell’Ucraina invasa dai russi. Anche qui la situazione è complicatissima e si ha a che fare con un autocrate come Putin che ha già costruito una sua narrazione “imperiale” (e tante azioni concrete conseguenti) che lasciano pochi margini per interventi equilibratori.
Potremmo aggiungerci la posizione della Cina che continua ad essere un enigma quanto a mire finali, ma che chiaramente si muove nella prospettiva di trarre profitto dalla crisi attuale degli equilibri storici con gli USA che molti danno come una potenza in declino (diagnosi anche questa frettolosa).
In un contesto del genere il massimo dell’impegno delle nostre forze politiche sembra essere quello di scommettere se davvero ci sarà uno spostamento a destra degli equilibri nel futuro parlamento europeo. La coalizione di governo e la premier mostrano speranze per una nuova maggioranza a Bruxelles nella convinzione che questo segnerebbe una consacrazione europea del “modello italiano”, ma è una speranza più che azzardata. Per contro un’opposizione che continua ad essere divisa pensa che la sconfitta di questa aspettativa possa rilanciarla, il che è altrettanto dubbio.
Entrambi i fronti si danno da fare per convincere l’opinione pubblica che comunque l’Italia non si farà coinvolgere più di tanto nei conflitti in corso e anche questa è una pia bugia, in quanto ciò dipenderà più dalla situazione internazionale che non dalle decisioni che possiamo prendere in autonomia.
Piuttosto sarebbe da considerare quanto sia importante con un orizzonte così cupo mettere in sicurezza la coesione interna del nostro paese, visto anche che le varie agenzie di manipolazione dell’opinione pubblica che fanno capo ai diversi “imperialismi” in campo stanno lavorando alacremente a scavare nelle eterne lotte di fazione che dominano la nostra politica. Nonostante una situazione abbastanza buona nell’economia corrente, continuiamo ad avere grandi problemi in settori chiave come la sanità, il sistema di istruzione, le reti infrastrutturali. Sono aspetti che toccano la vita concreta delle persone e che certamente allontanano una parte non indifferente dei nostri concittadini dalla partecipazione politica (come mostra il fenomeno dell’astensionismo) e ne porta un’altra a sposare posizioni “arrabbiate” e radicaleggianti che favoriscono le demagogie e i populismi.
Altro che prepararsi da entrambe le parti al “o la va o la spacca” su varie bandierine (premierato, autonomia regionale differenziata, ecc.): così non andranno in porto dei buoni passi avanti e si spaccheranno per primi i leader delle varie barricate.
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