Pietro è un ragazzino di città, solitario e un po' scontroso. La madre lavora in un consultorio di periferia, e prendersi cura degli altri è il suo talento. Il padre è un chimico (omaggio dell'autore a Primo Levi), un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia.

Accomunati dalla passione per la montagna – i genitori si sono conosciuti, innamorati, addirittura sposati ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo e la montagna li ha uniti da sempre, anche nella tragedia – troveranno in un paesino ai piedi del Monte Rosa "il posto giusto" dove vivere mentre sullo sfondo della narrazione vi è la Milano degli anni 70 e dunque anche la storia d'Italia, insanguinata in quegli anni da numerosi attentati terroristici.

L'ultimo romanzo di Paolo Cognetti – un caso letterario: le case editrici di 30 Paesi diversi hanno già comprato i diritti d'autore -, è un libro sulle relazioni: quella, potente, tra un padre innamorato della montagna e un figlio a cui trasmette una passione che diventa eredità, e tra il figlio che, esplorando "Le otto montagne" (Einaudi, 2016), ritroverà il padre nei libri di vetta; quella tra Pietro e il "montanaro" Bruno, amicizia nata nell'infanzia per non terminare mai pur restando "asimmetrica"; quella tra Pietro e significative presenze femminili nella sua vita.

Le tre parti in cui è suddiviso il libro – Montagne d'infanzia, La casa della riconciliazione, Inverno di un amico -, corrispondono alle stagioni della vita e, tracciando una mappa intessuta di "rapporti accidentati ma granitici", in cui a contare è "la possibilità di imparare", invitano a percorre un sentiero che pone un interrogativo ineludibile per chiunque aspiri a trovare il luogo in cui "il passo sembra perdere peso": qual è il mio posto nel mondo, quello in cui sono felice?

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«Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa».