Tutti giù nel tubo

Abbiamo ricevuto da un lettore delle Giudicarie e volentieri pubblichiamo per aprire il confronto.

…dai, giochiamo!? Una volta, era questa la consuetudine per stare insieme tra bambini. Quello che vorrei raccontare è una piccola esperienza vissuta con mio nipote. Luca (il nome è di fantasia) è un ragazzo sensibile e intelligente con interessi lontani da PC e videogiochi. Questo però lo ha messo in difficoltà con i compagni di scuola e gli amici, e lo ha portato ad avvicinarsi al mondo virtuale. Gli ci è voluto poco per divenire il migliore ed essere ricercato per consigli. Adesso non era più solo.

Quando sono andato a trovarlo per stare un po' con lui e magari realizzare insieme qualche lavoretto, mi sono accorto che era diventato impossibile instaurare un rapporto, anche semplice. Ho osservato, allora, come si rapportava con questa finta realtà e quali segnali questa gli dava. Ho così intuito che questi giochi conducono, chi li usa, a trovarsi in un mondo totalmente slegato dalla realtà, ma, a differenza del mondo fiabesco, non lascia il tempo di essere presente a se stesso e alla propria immaginazione. L’azione si svolge molto rapidamente, non c'è tempo per pensare e scegliere, si deve solo reagire. A cosa? a ciò che qualcuno ha già pensato. Il luogo in cui si svolge tale movimento è un “non luogo”, spesso si presenta come cunicolo o galleria; la rapidità di cambiamento di inquadratura ben presto disorienta perché non c’è un sopra e un sotto, un di qui e un di là, ma solo un cambio repentino e continuo di direzione che non porta da nessuna parte, se non lontano da sé. Poi, lì, il giocatore è “virtualmente” il centro, può fare tutto quello che vuole. Serve una cosa? La prende. Vuol fare una cosa? La fa. C’è qualcosa che non serve? La incenerisce.

Mi spiego meglio; Luca, dopo essersi costruito, con tale videogioco, uno stagno, scavando una buca e prendendo l’acqua dal fiume per riempirlo, ha pensato di fare tutto intorno un marciapiede e voleva farlo con dei tappetini, per renderlo più confortevole; per fare i tappetini è andato in cerca di pecore: le ha uccise e ha preso la lana. Alla domanda: “Perché le hai uccise? Potevi solo tosarle”, è rimasto perplesso, non aveva pensato a una soluzione così semplice; d’altra parte a lui serviva la lana. Poi voleva colorarli ed è andato in cerca di fiori per preparare il colorante e li ha divelti tutti. Alla domanda: “Perché non hai fatto una bella siepe di fiori colorati per cingere il tuo stagno?”, non ha saputo rispondere. Rimaneva poi del materiale di risulta (le pecore morte e i gambi dei fiori) e, per fare ordine, lo ha incenerito.

Il tempo, lì, non esiste; non vi è nulla di realmente vivo che ti faccia ricordare che anche tu sei vivo e sei per natura un essere di relazione, come chi ti ha creato. Lì, in quel “mondo”, tu sei tutto, tu sei dio. Il mondo reale che circonda il ragazzo non trova più spazio né occasione per interagire, e i genitori non possono opporsi senza provocare scenate. Tutto questo, mi pare essere un aperto attacco proditorio alla Vita e alla voglia di vivere.

vitaTrentina

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