“Nessuna biografia può essere un'agiografia”. E' questa la convinzione che ispira e guida l'ultimo lavoro del magistrato Francesco Forlenza, letterato per passione, che ha dedicato gli ultimi anni della sua ricerca storica a ricostruire “La vita di Tommaso Campanella”, pubblicato da Armando Editore con sottotitolo che ne evidenzia tre aggettivi: eretico, rivoluzionario, utopista.
Una biografia rigorosa ma anche fresca e accattivante che attraverso la vita di Giovan Domenico Campanella – acquisì il nome di Tommaso diventando frate domenicano – racconta un'intera epoca dai colori vivaci, molto controversa e non sempre approcciata liberamente dalla ricerca storica.
L'autore, trentino d'adozione, sa rileggere la storia con un uso puntuale delle fonti, trovando interesse nel riproporre i contesti ambientali e culturali ma anche gli spunti d'attualità che – vichianamente – la storia sa riproporre.
Dalla lettura di questo Seicento calabrese, dominato dagli Spagnoli nel meridione italiano, emerge che dopo la riforma protestante le contrapposizioni “di civiltà” tra Islam e Occidente non furono mai nette e l’Islam esercitò un grosso fascino presso gli europei. A proposito Forlenza arriva a definire il frate Campanella come il primo “foreign fighter” (come oggi vengono chiamati i volontari stranieri) e, fallita la cospirazione armata contro la cattolicissima Spagna di Filippo II che tentò con i pirati islamici nel 1599, ne pagò le conseguenze con trent’anni di reclusione nei castelli del viceré di Napoli. Dalle fonti risulta che la congiura vedeva la partecipazione di frati e laici (furono arrestate dagli spagnoli 156 persone, tra cui molti nobili) di concerto con l’ammiraglio turco Sinàm Pascià, che altri non era che il genovese Scipione Cicala, convertito all’Islam.
Come oggi avviene con l'arruolamento di occidentali “convertiti che scelgono di sostenere la causa dei terroristi islamici, anche allora “i Turchi, nel Mediterraneo, si avvalevano di europei al loro servizio. L’ammiraglio della flotta turca a Lepanto si chiamava Uluc Alì, ma il suo vero nome era Giovanni Dionigi Galeni, un calabrese di Castelli; il pirata musulmano Kair el Din Barbarossa era un greco di Mitilene, e al servizio dell’Islam c’erano anche olandesi, ungheresi, inglesi e veneziani. Volti e nomi che emergono come saporite chicche storiche dalla scorrevole narrazione di Forlenza che tiene opportuna distanza dall'appassionante e avventurosa figura di Tommaso Campanella, “un uomo raggiunto da una falsa luce ramata”.
L'autore sottolinea una circostanza che sfata molti luoghi comuni: per accertare la pazzia di Campanella, la “terribile” Inquisizione del 1600 dispose una perizia psichiatrica! Campanella fu condannato dalla Inquisizione al carcere perpetuo per eresia (negava la Trinità, l’Inferno, la divinità di Gesù, etc.), mentre per la congiura il processo fu sospeso sine die essendo stato giudicato pazzo (contro il parere dei due medici periti, che avevano diagnosticato la simulazione, qual era effettivamente). Camaleonte come sono sempre stati gli intellettuali italiani, fu di volta in volta eretico, filomusulmano, cattolico tradizionalista, anticlericale e papista, filospagnolo e antifrancese e poi l’esatto inverso. “Bello è il mentir, se a far gran ben si prova”, arrivò a scrivere in una canzone e il libro di Forlenza aiuta almeno un po' a comprendere il significato di quel “gran ben” per il frate di Stilo.
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