La rivoluzione è cominciata in sordina alcuni anni fa, quando sul mercato si presentarono i primi e-book (in italiano significa: libro digitale). E molti a pronosticare la fine del libro cartaceo, con il risparmio di migliaia di ettari di foreste (pari alla superficie della Grecia) e di milioni di alberi utilizzati per ricavarne la carta. A dieci anni da quella rivoluzione che doveva essere apocalittica, con la morte del libro cartaceo, in Europa soltanto il 5% delle pubblicazioni viaggia esclusivamente su supporto digitale. In verità negli Stati Uniti il mercato del libro digitale ha impiegato soltanto tre anni per raggiungere il 10% del totale delle pubblicazioni. E chi frequenta gli aeroporti vede una massa di lettori, per lo più giovani, piegati sul “tablet” (la tavoletta elettronica). Nonostante la diffusione, quella resta un’élite anche culturale se si vuole. Tanto è vero che gli editori, i quali parevano prossimi al collasso… cartaceo, stanno rivedendo le loro pessimistiche previsioni di qualche anno fa e cominciano a tirare un sospiro di sollievo. Non che in Italia si legga più di un tempo, anzi. Ma l’e-book non ha sostituito il libro di carta. Intanto perché la rete digitale è ancora modesta in vaste aree del Paese. Da noi è difficile che uno entri in un negozio o in un locale pubblico e trovi la “WiFi free”, la rete gratuita per navigare su Internet. Spesso non la trova neanche a pagamento. In Argentina o in certe nazioni dell’Africa, per non parlare dell’India e del Sud Est asiatico, il segnale digitale è a portata di tutti. E poi lo chiamiamo “Terzo mondo”!
Inoltre, il supporto che dovrebbe sostituire la carta, cioè il computer portatile o il “tablet” da noi hanno ancora un costo piuttosto elevato.
La ragione della scarsa diffusione dell’e-book è che il libro, oltre ad essere letto con gli occhi ha bisogno d’altro. Per essere amato e fatto proprio, il libro ha bisogno dei polpastrelli delle dita; di essere strapazzato, di subire “le orecchie” alle pagine, di scomodare le narici perché l’odore della carta e dell’inchiostro di stampa fanno da cornice al libro. Solo così il cervello memorizza, fa proprie e sente intime quelle parole che formano la frase, poi il messaggio, quindi il capitolo, infine il racconto intero.
Il medesimo romanzo letto su carta o sul “tablet”, anche se questo consente di “sfogliare” con un dito le pagine elettroniche, non provoca le stesse emozioni, non ha la medesima percezione. Almeno nei vecchi lettori, come chi scrive. E poiché in giro lettori nuovi se ne vedono pochi, è facile pronosticare che fin che ci saremo noi il libro di carta non sarà un… castello di carte. Al momento, i giovani, molti almeno, sembrano propensi a “consumare” parole, situazioni e sentimenti in un baleno, ovvero tutto il contrario di quello che è un libro. Il quale per essere letto ha bisogno di tempo, di pause, di riflessione, di ripensamento.
Si dirà: anche l’e-book ha bisogno di tempo. Ma il tablet non è fatto per “perdere” tempo. Perché per sua natura, ciò che è elettronico deve essere veloce. Tant’è che in mancanza di una rete veloce (ad “alta banda”) tutto si rallenta e questo infastidisce il possibile lettore. Certo, cercare il significato di una parola sull’enciclopedia di casa comporta più tempo che digitare la parola sul computer e ottenere una risposta immediata. Internet è l’oceano delle parole a portata di clic. Ma nell’oceano è facile annegare se non si è attrezzati. Eppure c’è chi afferma che il libro elettronico sarà eterno. Se il Padreterno fosse stato di questo parere, non avrebbe impiegato una settimana a scolpire nella pietra i dieci comandamenti. Avrebbe consegnato a Mosè un “tablet” e via con il decalogo.
Il libro di carta resta, resiste ai secoli. Fedele, come l’Arma dei Carabinieri. Grazie alle sabbie del deserto, i papiri di Qumran sono arrivati a noi dopo due millenni. La velocità di cambiamento tecnologico rischia di trasformare i libri digitalizzati in materiale obsoleto dopo appena vent’anni. E magari di renderli pure illeggibili con i “vecchi” strumenti di lettura.
Fantasie? Chi tiene in casa le videocassette o i nastri magnetici, oggi non è in grado di vedere un film o di ascoltare la musica se non ha conservato il videoregistratore e il “magianastri”. Chi possiede qualche gettone telefonico, oggi non potrebbe telefonare poiché le cabine telefoniche sono scomparse dalle nostre vie, dalle nostre strade.
I segnali di fumo, invece, si possono fare anche dopo tremila anni. Basta avere la legna o qualche giornale di carta… (i libri, quelli no, perché i libri non si devono, non si possono bruciare).
A proposito, vi immaginate il sadismo di privare i nazisti dell’orgasmo di bruciare i libri in piazza, presentando loro un pacco di… “tablet”? Avrebbero potuto cancellare tutto con un semplice comando. Se un topo di biblioteca può al massimo rosicchiare qualche copertina e la polvere può appiccicarsi sul filo della pagine chiuse, un perfido hacker (sinonimo di criminale informatico, anche se l’hacker non sempre è malvagio) potrebbe cancellare con un “clic” tutta l’immensa biblioteca digitale del pianeta.
D’accordo, ci sono le banche-dati, i firewall (il muro tagliafuoco), gli antivirus. Ma se per contrastare gli hackers e blindare tutto questo servono risorse infinite, non è molto più semplice prendere un libro cartaceo, annusarlo, sfogliarlo e magari leggerlo? Se è scritto bene, se vi piace, resterà per sempre nella vostra mente. A quel punto, l’unico “hacker” in grado di cancellarlo sarebbe solo quel signore (?) dal nome tedesco: Alzheimer. Già, ma in quel frangente non servirebbe più nemmeno un “tablet”.
Alberto Folgheraiter
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