[Giovanni Fighera, all'Arcivescovile per il ciclo di incontri sull'educazione: “Per superare la crisi dell'amore abbiamo bisogno dell'altro”
In un’epoca come la nostra, un’epoca di crisi non solamente economica ma anche politica, etica e valoriale, si può educare senza far riferimento ad una dimensione come quella dell’amore? A questa domanda ha tentato di rispondere Giovanni Fighera, professore di liceo e giornalista milanese, che venerdì 6 febbraio è stato ospite del collegio Arcivescovile di Trento nella prima serata della trilogia “Educare in tempo di crisi”.
Fin da subito Fighera ha precisato di trovarsi lì non in quanto “esperto di amore” ma come insegnante e padre di due figlie. Ha poi mostrato come la società odierna sia caratterizzata da un profondo cinismo, uno degli aspetti che sta alla base della crisi dell’amore che oggi sperimentiamo. È presente anche la dimensione del relativismo: le persone, infatti, credono che non ci sia una sola verità e che per questo motivo l’amore vero ed eterno non esista. Altro aspetto che ha portato alla crisi dell’amore è l’edonismo; i giovani vedono la felicità solo nel raggiungimento del fine settimana e vivono la scuola come un’esperienza negativa.
Dopo aver analizzato i motivi per cui l’amore è andato in crisi, il professor Fighera ha provato ad indicare delle possibili soluzioni a questo problema. Il punto di partenza per uscire da questa crisi è la focalizzazione di un’esperienza propriamente e profondamente umana: quella del desiderio. È necessario affrontare la vita con entusiasmo e per fare ciò abbiamo bisogno dell’altro. Infatti noi non siamo individui, ovvero esseri singoli distinti dagli altri e privi degli altri, ma siamo degli “io” e gli altri per noi sono fondamentali. Per superare la crisi dell’amore, ha aggiunto Fighera, si deve riscoprire la figura del maestro. È il maestro che deve accompagnare il ragazzo verso la meta, una meta che rappresenta la verità e la felicità. Un chiaro esempio di questo si può trovare sfogliando un classico della letteratura di tutti i tempi come la Divina Commedia. Nei primi tre canti dell’Inferno dantesco, Dante si trova nella selva oscura e vuole raggiungere il colle luminoso: è Virgilio ad accorrere in aiuto di Dante e ad accompagnarlo nel suo viaggio. Il problema, quindi, non è trovare la strada, perché noi – almeno nella maggior parte dei casi – sappiamo qual è la strada da percorrere, il problema sta nel fatto che ci sentiamo soli di fronte alle tante responsabilità che costellano la nostra vita. Ma quando un altro ci prende per mano, come Virgilio “prende per mano” Dante, ecco che c’è speranza. Dobbiamo perciò trattare coloro a cui vogliamo bene come dei compagni di viaggio verso la meta, compagni che ci aiutano a raggiungere la felicità, non come se loro fossero essi stessi la felicità. Infatti, il desiderio di felicità è infinito e pensare di poter trovare nell’altro la nostra totale felicità significherebbe trattarli per ciò che non sono.
Inoltre, specifica Giovanni Fighera, c’è bisogno di luoghi d’amore, di posti fisici in cui poter sperimentare affetti e amicizie che siano però allo stesso tempo luoghi di scoperta dell’io, dove ci siano persone care che permettano di realizzare la propria persona. Senza la scoperta dell’io un luogo di affettività perde completamente il suo valore.
L’amore, conclude il professore, è la legge della realtà più grande che ci sia, è l’amore ciò che muove tutto, è l’amore che “move il sole e le altre stelle”, come scrive Dante nell’ultimo verso del Paradiso. Ma l’amore è anche al tempo stesso la legge del cuore, secondo la quale si può scommettere su chiunque altro.
Deborah Oss e Chiara Gullà (IV classico Arcivescovile)
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