Figlia di una tenace adesione alle proprie origini, la poesia di Andrea Oxilia mantiene vivo lo spirito della sua terra, richiamando alla vita e ai valori d'un tempo
Una silloge poetica snella ma intensa, quest’ultima produzione creativa in cimbro di Andrea Oxilia “Kearn, Gasingar tz’ abane” (Ritorno, Canti al crepuscolo) edito dalla Provincia Autonoma di Trento. Il cui assessorato alla Cultura promuove convintamente l’opera del poeta trentino e veronese nel segno dell’attenzione “prestata alla salvaguardia delle proprie minoranze linguistiche”.
Le poesie in cimbro di Andrea Oxilia – giovane comandante della Squadra Radiomobile dei carabinieri di Riva del Garda – si iscrivono in pieno nel solco di una tenace e testarda adesione alla propria terra e alle proprie origini, territoriali e, al contempo e ancor più, esistenziali. Le ascendenze familiari dai comuni veronesi della Lessinia e dal versante di Folgaria dell’alpe cimbra trentina consentono al tenente Oxilia di coltivare con rara cura, passione e audacia, sia il vernacolo veneto come anche lo slambrot parlato fino a non molto tempo fa tra Folgaria, Lavarone e Luserna. È significativa la dedica posta nell’incipit della pubblicazione, “Alle mie anime care”, e qui il mondo degli affetti travalica le strette parentele per abbracciare una comunità intera, dei presenti e dei trapassati, per dire dell’adesione intima e della convinta immedesimazione che il poeta pone tra sé e coloro che l’hanno preceduto, popolo anonimo, gente povera ma convinta del proprio faticoso, fiero, tormentato esistere. Sgorga quasi la necessità impellente che si lega al motivo del ritorno; “Ciò che desidero,/ ciò che mi basta,/ è ritornare,/ sempre./ Anche una sola volta,/ come la mia gente/ dopo la dura/ fuga/ di cent’anni fa…”. E se allora era lo scempio della guerra, la desolazione o l’emigrare per una vita migliore, l’allontanarsi comunque delle persone dal focolare domestico, oggi il pericolo – sembra avvertirci il poeta – è l’oblio e l’indifferenza, il dare tutto per scontato e “dovuto”, e non una dura, esigente, sofferta eredità da conquistare e, soprattutto, da meritare. “Sono volo d’aquila”, ripete nei suoi versi: “Un’aquila cimbra vola/ e narra a tutti voi/ di genti beate/ che non moriranno”.
Molto bella la lirica “Ricordo di neve” dedicata a Mario Rigoni Stern: “Sei un larice, Mario. (…) Pernici bianche,/ anime dei morti,/ come vento d’inverno/ sfiorano la tua gemma, sopita/ Ricordo di neve. Vivo./ Fosti betulla;/ ora sei larice…” e ci sembra di vederlo, lo scrittore di Asiago, fin nei suoi anni ultimi, andare lento e pensoso fra le sue amate montagne.
Andrea Oxilia continua ad avere soddisfazione dalla sua produzione poetica con vari premi e riconoscimenti a livello nazionale. “Gasinga, mai garivat Gareida” (Poesia, mia spirata Lingua): la sua poesia cimbra “gasuackat, gagraifat, gaknault im himal” (cercata, brancata, aggomitolata nell’aere) è un dono ma anche una conquista a caro prezzo. Non un’operazione intellettuale semplicemente nostalgica, piuttosto un richiamarsi a quei valori di parsimonia e di sobrietà – di vicinanza – d’un tempo per riproporli oggi nell’attualità. E il tenente Oxilia conosce per professione quanto ce n’è bisogno; quanto sia, la vita quotidiana, affascinante e tragica, – nel cuore delle persone e nella casualità degli eventi – permeata dal mistero del vivere.
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