Il francescano padre Paolo Benanti, 51 anni, docente alla Gregoriana e all’Università di Seattle (USA), consulente dell’ONU ed esperto “cooptato” in vari organismi vaticani, è anche il principale ispiratore del magistero pontificio sull’Intelligenza Artificiale, in virtù del quale Francesco è stato invitato a giugno a parlare – prima volta di un papa – al prossimo G7 che si tiene in Puglia.
L’apprezzamento trasversale per l’approccio competente di padre Benanti (l’eccellenza scientifica riesce a zittire anche i contrasti fra i partiti) si è espresso pure nella nomina a presidente della Commissione sull’Intelligenza Artificiale presso la Presidenza del Consiglio, dopo le dimissioni di Giuliano Amato. Piace pensare che il docente del Terz’Ordine Regolare di San Francesco possa rafforzare questo carisma mediatico – così come i gesuiti Riccardo Lombardi, Nazzareno Taddei e padre Roberto Busa furono rispettivamente maestri nella comunicazione televisiva, nella critica cinematografica e nella lessicografia – per riuscire ad affrontare in una prospettiva etica la “rivoluzione digitale”, scaturita da quell’insieme di tecnologie che chiamiamo grossolanamente Intelligenza Artificiale, come ci spiega l’esperto trentino Andrea Tomasi (pagg. 4 e 5).
Si tratta di una rivoluzione vorticosa che può “renderci più liberi ma anche più prigionieri”, scrive il Papa nel messaggio per la Giornata, nel quale si avverte la mano e il pensiero di Benanti. Il nodo critico è l’ambivalenza di questi strumenti tecnologici che hanno “grandi possibilità di bene” ma – si legge testualmente – “presentano il rischio che tutto si trasformi in un calcolo astratto, che riduce le persone a dati, il pensiero a uno schema, l’esperienza a un caso, il bene al profitto, e soprattutto che si finisca col negare l’unicità di ogni persona e della sua storia, col dissolvere la concretezza della realtà in una serie di dati statistici”.
L’antropologia cristiana riporta con fiducia la scelta alla responsabilità umana, identificandola biblicamente come il cuore, sede della libertà personale e della coscienza ben formata: “Spetta all’uomo decidere se diventare cibo per gli algoritmi oppure nutrire di libertà il proprio cuore, senza il quale non si cresce nella sapienza”.
In recenti interventi padre Paolo ha messo a fuoco due dei tanti progetti concreti che possono portare ad una regolamentazione internazionale che eviti forme di schiavitù imposte da nove caste informative. Innanzitutto la massiccia adesione al documento diffuso dal Vaticano nel 2020 con la definizione di “Rome Call”, una sorta di “magna charta” che fissa alcuni principi basilari a cui tutti devono ritenersi vincolati darsi un’etica comune nella progettazione degli algoritmi che stanno alla base dell’intelligenza artificiale. Hanno convintamente fatto propria questa piattaforma di “algoretica” (il neologismo sta appunto per etica degli algoritmi) numerose istituzioni internazionali come la Fao, molte aziende ed università, rappresentanti delle religioni monoteiste, ebrei e musulmani, ma anche alcuni giganti della tecnologia, Fra loro anche Chuck Robbins, presidente di Cisco (società leader nell’avanguardia tecnologica) che la settimana scorsa è stato ricevuto da papa Francesco alla presenza di padre Paolo che ha commentato: “Questa firma, e le altre adesioni, sono un passo avanti importante, perché è necessario che i sistemi di Intelligenza Artificiale siano trasparenti, responsabili e allineati con i valori umani”.
Il secondo spunto riguarda sia i comunicatori sociali che lettori e ascoltatori che con le loro scelte determinano la “fortuna” dei nuovi sistemi, come abbiamo ben compreso in questi dieci anni di esplosione dei social media con i loro criteri che premiamo innocenti gattini o scaltri influencer. Non dobbiamo dimenticare le relazioni a tu per tu, i processi partecipativi dal basso, l’appartenenza a testate (e Vita Trentina vuole esserlo) che danno fiducia e aiutano nel trovare connessioni sicure e durature. “Solo se sapremo addomesticare l’innovazione dell’Intelligenza Artificiale con i guardrail della sussidiarietà e della ricerca del bene comune – conclude Benanti – potremo sperare in un progresso che sappia farsi autentico motore di sviluppo umano”.
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