Marco Mondini, ricercatore all’Istituto storico italo germanico della Fondazione Bruno Kessler e docente di storia della cultura europea all’università di Padova, è l’autore di La guerra italiana. Partire, raccontare, tornare 1914-18 pubblicato da “il Mulino”. Iniziato il Centenario, una buona occasione per una riflessione, partendo da questo ampio saggio di 365 pagine nel quale si racconta, facendo uso della categoria dello spazio linguistico che travalica i confini politici, di come il conflitto “non riguardò solo il Regno d’Italia a partire dal maggio del 1915 ma, a pieno titolo, coinvolse tutte le comunità italofone, gli italiani d’Austria, compresi i trentini, irredenti o meno che si sentissero, fin dall’estate del ’14”.
“A un secolo dal conflitto – afferma Mondini – sono rimaste senz’altro le impalcature della costruzione di una memoria collettiva. Pensi solo al paesaggio urbano, a come, ad ogni passo, non si possa che fare i conti con alcuni dei segni della memoria, dai monumenti, ai nomi delle piazze e delle vie. E’ la testimonianza ancor oggi tangibile che la guerra fu un evento di massa, riguarda ancora chiunque, permane e permea la nostra quotidianità”.
Lei affronta il tema seguendo le linee metodologiche della storia culturale. Sulla scorta di quali riflessioni?
“Partendo dalla considerazione che vale la pena rispolverare le categorie della complessità e della criticità che investirono quel periodo. Perché, così procedendo, si possono riscoprire anche molte delle capacità del Paese di far fronte alla situazione, non solo sul piano militare. L’Italia del 1915-1918 porta con sé almeno due grandi rivoluzioni. La prima è la capacità dello Stato di trasformarsi, molto rapidamente, in uno Stato moderno, capace di assicurare, ad esempio, il welfare e un’assistenza pubblica capillare che prima non esisteva, ma anche in grado di mobilitare energie culturali e competenze dell’apparato pubblico nella gestione di un’emergenza continua. Basti pensare a cosa ha voluto dire sfamare, assistere, istruire e ricoverare le famiglie di cinque milioni e mezzo di combattenti”.
E la seconda?
”La seconda rivoluzione consistette nelle caratteristiche dell’ossatura dell’esercito, in particolare gli ufficiali di complemento, la parte migliore del Paese, intellettualmente più preparata. Fu questa la ‘spina dorsale’ che permise, nonostante Caporetto, di vincere la guerra (non certo gli alti gradi, impreparati e mentalmente ottusi), perché capì l’importanza della coesione morale tra sé e le truppe, della costruzione di una comunità coesa, di trincea”.
Mondini continuerà ad occuparsi di Grande Guerra. Per l’editore Carocci sarà in libreria, la prossima primavera, un manuale sulla Prima guerra mondiale mentre “il Mulino” pubblicherà un suo volume di viaggio, a carattere didattico, sulle tracce degli itinerari del conflitto.
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