Un percorso storico-scientifico con effetti spaesanti, per niente consolatori e illustrativi
Meglio liberare subito il campo da possibili equivoci. La mostra “La Grande Guerra sul grande schermo”, organizzata dalla Fondazione Museo storico del Trentino aperta da lunedì 28 luglio alle Gallerie di Piedicastello a Trento, non è una mera rassegna di frammenti di film e documentari sulla Prima guerra mondiale. Piuttosto, una reinterpretazione e riproposizione in chiave contemporanea di un ampio materiale composto da oltre 60 tra spezzoni di pellicole precedenti, coeve e successive al conflitto, che, passo dopo passo, va a comporre una visione, costruisce un percorso storico-scientifico con effetti spaesanti, per niente consolatori e illustrativi mettendo le mani nella pasta grezza dell’orrore, ma pure della apparente normalità dei momenti di quiete.
Si ha a che fare con l’elaborazione di un tour immaginifico, che è poi la natura stessa di tanto cinema, trasmesso da 46 grandi schermi e 16 monitor sui quali passano le immagini per complessivi 450 metri quadri di proiezione e quasi 12 ore di visione.
Nei 300 metri della galleria “nera” si cammina lungo una continua “installazione” quasi fosse una mostra d’arte contemporanea il cui fine, ormai da statuto, è la comunicazione. E da comunicare, concretamente e concettualmente, ce n’è, e tanto. Forse, vista la densità della proposta, fin troppo. E, se è possibile riassumere, prendiamo a prestito quanto detto dal direttore della Fondazione Giuseppe Ferrandi secondo il quale “la mostra presenta una visione critica, non agiografica e illustrativa, svela i non detti, contribuisce a costruire un nuovo immaginario”.
Nell’anno d’esordio del Centenario delle commemorazioni della Prima guerra mondiale, “La Grande Guerra sul grande schermo” è il risultato della collaborazione della fondazione trentina con la Cineteca del Friuli, la Cineteca nazionale, l’Istituto Luce, il Museo nazionale del cinema di Torino e Rai storia. Le pellicole, molte quelle inedite tra i fotogrammi muti, arrivano da archivi italiani, europei ed extraeuropei. Il coordinamento scientifico è affidato al friulano Luca Giuliani, la cura a Patrizia Marchesoni, Roberta Tait e Luca Caracristi della fondazione.
Dopo un omaggio alla profondità tridimensionale della fotografia stereoscopica con immagini del conflitto russo giapponese e un filmato di 7 minuti in 16 millimetri delle guerre balcaniche del 1912-1913, si entra nel vivo delle pellicole mute, con la colonna sonora del compositore britannico Neil Brand. Schermi appaiati, fiction e realtà che si confrontano per contrasto e analogia, clip montate e rimontate, materiale destrutturato, fino a confondersi, fotogrammi di propaganda provenienti dagli archivi degli eserciti francese, americano e inglese, spezzoni di Luca Comerio sulla Guerra bianca in Adamello.
Pochi i documenti degli ex Imperi centrali, anche per questioni economiche legate ai diritti. Inediti i momenti che riprendono gli Americani nel nord Italia e i fotogrammi ritrovati, e al tempo tagliati, di Carlo I d’Austria in visita al fronte. Emblematiche le riprese dell’arrivo a Trieste della salma di Francesco Ferdinando ucciso a Sarajevo come della battaglia delle Somme.
Alle spalle, rispetto alla visione, ampie scritte di spiegazione del tema trattato rintracciabili anche, tramite applicazione (le gallerie), sullo smartphone.
Si prosegue per parole chiave, dal doppio significato – “a fuoco”, “campo e controcampo”, ad esempio – passando per il critico Gillo Dorfles che allo scoppio della guerra aveva 5 anni e ora ne ha 104. Per arrivare a “Orizzonti di gloria” di Kubrick, a “Uomini contro” di Rosi e a “La grande illusione” di Renoir.
“Non c’è tutto, si è fatta una selezione”, hanno sottolineato i curatori. Può bastare così.
La mostra rimarrà aperta per un anno dal martedì alla domenica dalle 9 alle 18; ingresso libero.
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