L’ultimo libro di Arturo Paoli, “Cent'anni di fraternità” (Chiare Lettere) – scritto nei mesi invernali e primaverili del suo centesimo anno, è nato infatti il 30 novembre 1912 -, è un condensato di tutta la sua lunga vita, del suo impegno come uomo e della sua testimonianza di cristiano.
La prima parte del piccolo ma denso volume riporta brani che connotano fortemente la sua personalità tutta tesa a aiutare “giovani, minatori, prostitute, perseguitati politici, scarti umani del mondo consumista”. Mentre la seconda parte è frutto di riflessioni che hanno portato Paoli a riempire proprio recentemente, e nonostante l’età assai avanzata con una coscienza lucidissima, numerosi fogli protocollo, datandoli e numerandoli ordinatamente, dove si appuntano “pensieri dell’anima” e riflessioni più generali sul presente del mondo, della politica e della Chiesa.
Sono pagine in cui emerge in tutta evidenza la limpidezza del suo cristianesimo sapienziale (“Se riflettiamo, la grande e unica ricchezza della vita è l’amore”) e dove si espunge che la sua grande preoccupazione in questo preciso momento del suo declinare della vita è quella dei giovani che numerosi ancora frequentano i suoi momenti pubblici. Arturo Paoli è stato recentemente a trovare papa Francesco, hanno conversato per quasi un’ora, ricordando i tempi in cui Bergoglio era provinciale dei gesuiti in Argentina e Paoli viveva nella zona di Santa Fe, nei pressi di Reconquista, insieme ai boscaioli e lavorando assieme ai campesinos che rivendicavano il loro diritto alla terra e a un giusto salario. Poi la Giunta militare golpista lo costringe a emigrare in Venezuela dove vive nello sperduto villaggio di Monte Carmelo e nelle baraccopoli di Caracas per poi passare negli anni successivi in Brasile a Foz do Iguacu in una piccola comunità contemplativa e d’azione dei Piccoli Fratelli di Charles de Foucauld, in tutto almeno quarant’anni trascorsi in Sudamerica ma sempre dalla stessa parte, quella dei “senza voce” e degli esclusi.
Si diceva della preoccupazione di Arturo Paoli per i giovani. Scrive: “Vorrei aiutare i giovani ad uscire da questa incredulità generale”. Che nelle sue intenzioni non è solo e principalmente quella di tipo religioso ma la più ampia e angosciante mancanza di un progetto di vita. “Oggi la fede religiosa –a ggiunge questo vecchio giovanissimo di spirito – può rinascere solamente attraverso la simpatia che riesce a suscitare uno “spirituale” che manifesti leggerezza e gioia”. E ancora: “Un nuovo cristianesimo non comincia dai culti, come annuncia Gesù alla samaritana, ma comincia da un intervento energico e profondo nell’uomo, cioè dai suoi sentimenti e dalle sue decisioni personali”. È il programma di volontà e di esperienza che ha caratterizzato tutta la sua vita, quello cioè di contribuire ad “amorizzare il mondo” perché è sempre stato convinto che cuore del cristianesimo sono “le relazioni umane improntate alla giustizia e all’amore”. Questo di Arturo Paoli è uno splendido piccolo libro, un “confesso che ho vissuto” affascinante ed emozionante.
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