Molti oggetti esposti nella mostra su Kandinsky a Vercelli provengono dall'enorme archivio di Sergio Poggianella, gallerista roveretano che nella sua carriera ha collezionato anche molte opere di “arte bassa”
La mostra in corso a Vercelli, in Piemonte, pare quasi un abito “ritagliato” proprio sulla sua misura. Un vestito che sembra calzargli a pennello. Mischiando “alto” e “basso”, arte immortale e ritualità sciamanica che gli oggetti cerimoniali rendono concreta. Perché Sergio Poggianella, gallerista per decenni tra Milano, Modena e Rovereto, la città natale nella quale è tornato a vivere da qualche anno, da quando si è messo a girare il mondo alla ricerca di costumi e tamburi, bastoni, archi e collane, corredo dei tanti sciamani, dai territori russi ed ex sovietici ai deserti mongolici e dell’est asiatico, ha intessuto tanti e tali contatti da finire dentro la mostra “Kandinsky. L’artista come sciamano”, con 16 “suoi” oggetti (dei circa 300 che ha raccolto).
Se poi si aggiunge che qualche anno fa il gallerista-sciamano, definiamolo così, si è preso pure la seconda laurea, dopo quella giovanile in Lingue e letterature straniere, in Scienze antropologiche ed etnologiche alla “Bicocca” di Milano, tutto torna, compresi i molti convegni internazionali ai quali ha partecipato in veste di relatore e nel corso dei quali ha conosciuto Mihàly Hoppàl, che della società internazionale di studi sciamanici è presidente, e che gli ha aperto un mondo. All’Arca Poggianella presta archi e catene, bastoni rituali a testa di cavallo, grembiuli di stoffa, tamburi simbolici e un raffinato costume mongolo. Tutta “roba” del secolo scorso che dialoga con 22 capolavori di Wassily Kandinsky, padre dell’astrattismo, provenienti da otto musei russi, accompagnati da altri dipinti di maestri al di là degli Urali. Il tutto curato da Eugenia Petrova, direttrice aggiunta del Museo di Stato russo di San Pietroburgo.
Di come Kandinsky possa stare fianco a fianco dei ferri del mestiere di quei guaritori-saggi impregnati di magia e spiritualità animista, ieri come oggi, va fatto risalire ai suoi anni giovanili, ai contatti con le tradizioni contadine siberiane, alle ricerche etnoantropologiche che coltivò e che furono fonte di ispirazione. “La mostra di Vercelli – commenta Poggianella – sarà certamente un’occasione per riflettere sulla necessità di azzerare la distinzione tra 'arte alta' e 'arte bassa', tra le cosiddette 'opere d’arte' fagocitate come tali dal sistema-mercato e i manufatti di arte etnica e popolare. Questo è infatti uno dei filoni di ricerca che sto promuovendo”.
Sì, perché Poggianella, che ormai si definisce “in pensione dall’attività di gallerista”, nel mercato artistico ci ha “sguazzato” per anni tanto da accumulare circa 3000 tra opere e manufatti. Tutto confluito nella fondazione costituita qualche mese fa e che porta il suo nome. Mano a mano sta mettendo online tutti i materiali, corredandoli di schede e informazioni, ma anche lettere, saggi e articoli con l’intento, oltreché di valorizzare il patrimonio, di promuovere attività di studio e ricerca, specialmente per i più giovani. A disposizione di chiunque. Alla fin fine, tutto si tiene. Dall’arte sciamanica alle opere di Emilio Isgrò e Franco Vaccari, dall’arte persiana alle pennellate di Giuseppe Desiato, dalle yurte asiatiche ai plastici del futurista Renato Di Bosso, dagli oggetti cerimoniali africani alle maschere dei Kukeri bulgari. Il web aiuta, anzi, in questo caso è strumento indispensabile. Ma è pur sempre l’uomo, la sua storia, al centro, anche del cyberspazio.
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