Solo le pietre sanno

Parla chi ha progettato e operato materialmente il restauro di Santa Maria Maggiore, pretesto per uno studio storico e architettonico sulla chiesa, che ancora mancava. Un prezioso volume colma ora quella lacuna

Che significato assume, quali sfumature prende il termine “conservare”, quando si affronta un'operazione di restauro come quella che ha interessato, tra il 2001 e il 2007, la basilica di Santa Maria Maggiore a Trento? Ne parliamo con l'architetto Antonio Marchesi, che ha curato il progetto assumendo anche la direzione lavori, e con Anna Maffei, restauratrice, che con Marchesi ha curato il volume “Tutta incrostata di rossa pietra”. La chiesa rinascimentale di Santa Maria Maggiore a Trento. Storia e Restauri”.

“Il restauro, negli ultimi decenni, è profondamente cambiato”, spiega Marchesi. “Nel caso specifico di Santa Maria Maggiore, bisognava superare l'idea che la conservazione riguardasse un'immagine un po' romantica dell'edificio”. Ecco perché sono state completamente rimosse le croste nere, che erano il principale veicolo di danneggiamento della superficie in pietra della chiesa e che, come Marchesi nel libro, “cancellavano completamente il raffinato contrasto fra calcari rossi e bianchi che evidenzia le rigorose linee verticali ed orizzontali del disegno architettonico dei prospetti”. Un'operazione condotta scientemente, con la consapevolezza che a fine restauro l'edificio sarebbe risultato completamente diverso nell'aspetto.

Controcorrente rispetto al resto del progetto è stata invece la scelta di lasciare in vista, ben leggibili anche da parte di un passante distratto, le tracce lasciate dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, quei crateri scavati dalle schegge delle bombe in particolare sui prospetti nord e ovest della chiesa. “Quelle ferite per noi erano importanti, rappresentano un monito che non poteva essere cancellato”, rimarca l'architetto Marchesi. Una scelta pienamente condivisa da chi si è materialmente preso cura della chiesa, operando con operazioni di pulitura, di stuccatura, di consolidamento della pietra e degli altri materiali presenti, come ad esempio i supporti metallici delle inferriate.

Leggere le pietre

Le indagini di laboratorio sulle pietre e sui depositi superficiali (proseguite per due anni, dal 2002 al 2004) hanno avuto lo scopo di cercare risposte precise ed esaurienti circa la natura dei materiali su cui si doveva intervenire e sulle possibili tecniche di restauro da adottare. “E sarebbe assai interessante per gli studiosi e di enorme utilità per gli addetti ai lavori – osserva Marchesi – se i risultati di tutte le numerose indagini di laboratorio sul patrimonio monumentale locale, già disponibili negli archivi, venissero studiati in modo comparato e resi accessibili”.

“Per noi, il conservare si traduce in una serie di operazioni conseguenti alle indicazioni del progettista e del chimico (il dott. Gianni Miani, autore di uno dei saggi che compongono il volume, ndr)”, precisa Anna Maffei. “Il nostro intervento è stato diretto ad attenuare le discromie dovute ai depositi superficiali e a mitigare l'effetto del degrado provocato dagli agenti atmosferici sulla pietra”. Quale sia stato il risultato, lo documentano le numerosissime immagini riprodotte nel libro per accompagnare, passo passo, le varie fasi del restauro che ha restituito alla chiesa “tutta incrostata di rossa pietra” le tonalità originali. Il titolo fa riferimento a un passo di un libro di Michelangelo Mariani, che nella seconda metà del Seicento scrisse una pubblicazione sul Concilio di Trento, nella quale descrive i vari monumenti della città.

Sopravvissuta “agli errori ed agli orrori degli ultimi due secoli quale monumento in una città e in un mondo in permanente cambiamento”, come sottolinea Fabio Campolongo, funzionario della Soprintendenza per i Beni Architettonici della Provincia Autonoma di Trento, nella sua prefazione, Santa Maria Maggiore ben prima della rifabbrica rinascimentale del principe vescovo Bernardo Clesio aveva acquisito un'enorme importanza per la città di Trento, come si evince dai saggi di Emanuele Curzel sulla pieve medievale e di Maria Teresa Guaitoli sullo scavo archeologico condotto tra il 2007 e il 2010 a cura del Dipartimento di Archeologia (oggi Dipartimento di Storia Culture Civiltà) dell’Università di Bologna. L'operazione di Clesio, che fa demolire e ricostruire ex novo la chiesa, rientrava nella prassi del tempo. “Basti pensare alla basilica di San Pietro a Roma, completamente demolita e ricostruita pochi anni prima”, osserva Marchesi.

La fabbrica clesiana

Il restauro ha costituito il pretesto per uno studio storico e architettonico sulla chiesa, che ancora mancava. “L'unico libro monografico sulla chiesa era quello di don Giovanni Battista Zanella, quindi parliamo della seconda metà dell'Ottocento”, rimarca Marchesi. Nessuno aveva mai realizzato uno studio così organico, strutturato, ricco sulla chiesa. Il saggio di Luca Gabrielli affronta in particolare il tema della committenza, inquadrata nella situazione politica e sociale della città di Trento, nonostante l’aridità delle fonti documentarie sulla ricostruzione clesiana, “ben lontane – scrive – dalla ricchezza disponibile per altre fabbriche coeve”. Gabrielli ricostruisce la formazione dell'architetto Antonio Medaglia, tra Brescia e Vicenza, e crea tutta una serie di riferimenti architettonici che ci fanno capire come questo edificio si collochi a pieno titolo nel panorama della storia dell'architettura della sua epoca, a dispetto della sottovalutazione operata dalla storiografica ufficiale, leggi Vasari, come suggerisce nella sua prefazione il prof. Howard Burns. Osserva in proposito Marchesi: “L'edificio per l'epoca era molto più importante rispetto a quello che si è sempre creduto, basti pensare a tutto il rivestimento di pietra, e molto moderno, come vediamo dalla interessante ricostruzione grafica della facciata che risponde a una costruzione modulare molto precisa basata sul diametro del rosone, corrispondente a nove piedi trentini”.

Ma il libro non si occupa solo dell'edificio isolato. Santa Maria Maggiore è inquadrata nel suo contesto urbanistico in particolare nel saggio dell'architetto Marchesi, che indaga con ricchezza di documentazione la genesi della piazza che nell'Ottocento fu completamente modificata. “Sarebbe un tema da approfondire quello della situazione attuale di piazza Santa Maria, oggi trasformata in una sorta di rotatoria”, conclude con una punta di amarezza Marchesi.

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