A oltre vent'anni dalla sua scomparsa, nuovi elementi per un ripensamento critico sulla sua poesia
“Forsi 'n dì o l'altro troverò / l'acqua 'nsognada / par cavarme sta sé / cossì fonda e lontana, / che brusa come se gaves / 'l foc 'n gola”. Sono versi di Marco Pola (Roncegno, 1906 – Trento, 1991), su cui il critico Giuseppe Colangelo ha svolto recentemente una coinvolgente conferenza all'Associazione culturale “Rosmini” di Trento. Un intervento che ha spaziato attraverso la critica all'opera del poeta cercando di dare oggi, a oltre vent'anni dalla sua scomparsa, nuovi elementi per un ripensamento critico sulla sua poesia.
Dopo l'introduzione della Presidentessa dell'Associazione, Lia de Finis, il relatore ha subito sottolineato l'impegno costante di Pola per la poesia, nonostante qualcuno (Brevini) avesse commentato che i suoi versi nascevano nei ritagli di tempo. Misurarsi con l'opera di questo poeta esige dunque di essere scevri da pregiudizi.
Le raccolte di Pola (da “Il gallo sul campanile” del 1936 alle “Cento poesie scelte” del 1975 fino al “Sonno delle lucertole” del 1991) non sono sempre state di livello costante, come d'altronde capita a tutti gli artisti che hanno avuto un'ampia produzione lungo i decenni. I suoi inizi furono in italiano: egli si è sempre infatti pensato come un poeta in lingua, più che in dialetto. Al contrario di un altro poeta che nacque a poche decine di chilometri da lui, il cittadellese Bino Rebellato – che fu anche suo editore e di cui ricorrerà, tra un paio di mesi, il centenario della nascita –, Pola non mischiò mai le due lingue nella sua poesia, ma considerò le due tipologie di scrittura ben distinte tra loro. Non a caso, per buona parte della produzione dialettale usò lo pseudonimo di Toni Rondola.
Pubblicato in vita da editori raffinati (Vallechi, Rebellato, Scheiwiller), mentre oggi la sua opera omnia è edita dall'editrice La Finestra, Pola fu commentato da grandi personalità quali Zanzotto, Bandini e Balduino, oltre a studiosi trentini quali Manlio Goio, Elio Fox, Nunzio Carmeni e Renzo Francescotti; fu antologizzato nel volume “Parole di legno” (Mondadori, 1984), fondamentale per la diffusione della poesia in dialetto in Italia.
“Quella di Pola è una poesia con una umiltà di fondo assoluta”, ha scritto di lui Andrea Zanzotto. E proprio così il poeta cantava negli ultimi anni della sua vita: “Tut quel che so ’l me costa / mi no so quante ore / de fadighe e de lagrime. / E adès che son montà sul’altalena / del mondo, me domando / se valeva la pena / de spender cossì tant / per saver quasi gnent”.
Pola, la cui poesia si nutrì dell'influenza di Nedda Falzolgher, ha fatto uscire la poesia dialettale trentina dalle secche del bozzetto e ha abbracciato nei suoi versi, con incisività, molti dei grandi temi della letteratura. E, da poeta vero, ha sempre creduto nella poesia: “Solo i poeti salveranno il seme della parola, che non muore mai”, ha scritto. Parole da non dimenticare e che ci auguriamo contribuiscano a mantenere vive la curiosità per le sue opere e la loro lettura.
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