Intrecciante infatti è un progetto che parte da lontano, dalla comunione di intenti di Uisp, Kaleidoscopio, Atas Onlus e un nutrito gruppo di volontari, che con il contributo della Fondazione Caritro sono riusciti a creare un qualcosa che va molto oltre il pallone. “Il calcio è un po’ una scusa per unire e includere persone di diverse origini, genere ed età”, racconta Federico. “Come dice il nome, che rispecchia lo spirito della squadra, vogliamo essere un intreccio di storie, di culture, di ragazzi, e anche di altri sport in futuro, perché speriamo che il progetto possa allargarsi parecchio, magari fino ad una squadra di calcio femminile”.
Per ora si parte da una rosa composta da 25 giocatori di cui una quindicina richiedenti asilo, dato che tra gli amatori ci sono molti meno vincoli rispetto al tesseramento di calciatori extracomunitari, da un Cda composto da tre ragazzi e tre ragazze, una presidente ed una tesoriera che compongono una dirigenza a forti tinte rosa, ma soprattutto dal fondamentale lavoro di tanti volontari che credono nelle finalità del progetto. “Mi ha colpito il tanto entusiasmo e il tanto impegno di un sacco di giovani che orbitano intorno alla nostra realtà anche senza avere un ruolo specifico, formando un seguito di tutto rispetto sugli spalti”, confessa Federico. Una tifoseria che viene coinvolta nel famoso terzo tempo, come tiene a specificare Alberto: “Dopo ogni partita fermarci per fare due chiacchiere, bere e mangiare qualcosa assieme a tifosi e avversari è utile ad appianare la tensione dei 90 minuti ed è un’ottima opportunità per conoscere le storie di ragazzi provenienti da mondi totalmente diversi dal nostro”.
Babu infatti viene dal Gambia, dove ha conosciuto il pallone grazie ai fratelli più grandi, Bacar invece dalla Guinea ed ha giocato in Senegal. Tutto un altro calcio, su campi sterrati e senza strutture adeguate, dove però si sviluppano grandi qualità atletiche che ora tornano util. “Siamo una squadra giovane e nei secondi tempi giochiamo molto meglio sfruttando il calo dei nostri avversari”, rivela sorridendo. “In Africa siamo abituati a giocare più liberi, ma il mister è bravo a guidarci nei movimenti”.
Babu invece ha ancora negli occhi la soddisfazione del gol segnato sabato: “Giocare in attacco è difficilissimo, i difensori in Italia non scherzano e io sono un po’ magro, ma qua impariamo tantissimo grazie ai nostri educatori, ci stiamo allenando molto e speriamo di migliorare sempre”, racconta sognando altre reti decisive.
Se l’entusiasmo iniziale fa sembrare tutto più semplice, aggregare ragazzi di tante nazionalità comporta un grande sforzo, tanta attenzione ai dettagli e l’educazione al rispetto reciproco. “Non tutti i giocatori parlano la stessa lingua quindi abbiamo stabilito una regola che vale per tutti, anche per noi dato che ogni tanto ci scappa qualche espressione dialettale: bisogna parlare italiano”, conclude il mister, “Per il resto abbiamo lavorato tanto sui ritardi e soprattutto sul comportamento da tenere in campo, che è sempre stato ineccepibile da parte dei nostri giocatori, ma anche degli avversari incontrati fino ad ora, da ringraziare per il loro atteggiamento sportivissimo e per i numerosi apprezzamenti che ci hanno rivolto. Potrebbe sembrare retorica, ma vedere compresa l’etica del nostro lavoro e del percorso che stiamo facendo per noi è motivo di grande orgoglio. È stato veramente un bell’inizio e penso ci siano delle ottime basi per fare sempre meglio”.
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