È una delle poche discipline paralimpiche che schiera contemporaneamente in campo atleti con diversi tipi di disabilità e soprattutto diverso potenziale fisico. Ma è possibile iscrivere a referto anche giocatori normodotati. L'unica squadra regionale è l'Albatros Trento, attualmente in Serie B
È una delle poche discipline paralimpiche che schiera contemporaneamente in campo atleti con diversi tipi di disabilità e soprattutto diverso potenziale fisico.
Non stupisce, quindi, che il tema di uno dei camp del recente “Festival dello Sport” di Trento fosse proprio “Se non lo hai mai visto o lo hai mai provato, non puoi sapere quanto è spettacolare il basket che si gioca su una carrozzina”.
A spiegarlo, o meglio a dimostrarlo, in piazza Fiera – sfidandosi non solo tra loro, ma anche coinvolgendo studenti del Liceo scientifico sportivo “Antonio Rosmini” di Rovereto – sono stati alcuni cestisti dell'UnipolSai Briantea84 campione d'Italia in carica (gli azzurri Filippo Carossino, Simone De Maggi e Jacopo Geninazzi, oltre al nazionale argentino Adolfo Damian Berdun) e dell'ASD Albatros Trento, unica squadra regionale, attualmente in Serie B.
“Parliamo di una disciplina che, nel nostro Paese, sta conquistando nuovi appassionati. Noi riempiamo il palasport di Seveso, la cui capienza è inadeguata alle partite di cartello, che richiamano 3/4.000 spettatori”, sottolinea Silvia Galimberti, general manager della società canturina, seconda nel ranking europeo dopo il terzo posto nell'ultima Champions League. “Insegnando ai ragazzi normodotati i tre gesti fondamentali – spingere, palleggiare e tirare – possono vedere e sperimentare cosa significa giocare seduti. Serve innanzitutto grande coordinazione”.
Il basket in carrozzina è nato dopo la seconda guerra mondiale negli ospedali militari americani, praticato dai reduci come riabilitazione motoria. In Italia, dove proprio alla pallacanestro si deve in gran parte lo sviluppo del movimento sportivo dei disabili, i primi a esercitarsi sono stati invece, sul finire degli anni Cinquanta, i pazienti del Centro Paraplegici di Ostia.
“In base alle capacità funzionali residue, prima di iniziare ufficialmente l'attività, a ogni giocatore viene assegnato un punteggio, che, nella cadetteria, va da 1 – per chi ha potenzialità fisiche minori – a 4,5. Complessivamente, non si possono superare i 16 punti di handicap, tanto più che a referto è possibile iscrivere pure due atleti normodotati da 5, donne comprese”, chiarisce Paolo Marziani, presidente dell'Albatros, club che, fondato nel 1979, è stato tre volte nella massima serie. “Per il resto, non esistono sostanziali differenze di regolamento rispetto al basket tradizionale, con la carrozzina che sostituisce in tutto le gambe. Sono identiche, per esempio, le dimensioni del parquet, l'altezza dei canestri, la linea del tiro da tre e la durata degli incontri”.
La stagione agonistica dei gialloblù inizierà il prossimo 17 novembre, a Verona. “Siamo nel Girone B, un raggruppamento forte, con sei formazioni venete. Il nostro obiettivo è arrivare fra le prime quattro”, afferma Marziani. “La rosa è composta da 14 atleti. Venti persone in tutto, aggiungendo tecnici e dirigenti”.
Quindici in totale, di cui 12 giocatori, sono, al contrario, i componenti dell'Albatros che si dedica al wheelchair curling, con due squadre dal 2006/'07. Una, ad aprile, ha vinto lo scudetto.
Lo scudetto della pallacanestro, invece, sarebbe riuscire a portare i ragazzi con handicap nella palestra “Manazzon” di via Fogazzaro.
“Difficile trovare disabili che abbiano voglia. Eppure adesso ci si può allenare regolarmente e i campionati non durano più una settimana come una volta”, fa notare Marziani. “Solo con tenacia, aggredendo la vita e non lasciandola scorrere, si possono superare le vicissitudini”.
Lascia una recensione