Classe 1935, il “Maestro Benemerito” Dario Tarabelli ha festeggiato sabato 1° settembre i cinquant'anni di attività. Si deve infatti a lui – era il '68 – la prima palestra di judo della nostra provincia. Tanti suoi allievi sono diventati campioni italiani]
[“I primi passi da insegnante, con pochi atleti, in una saletta nell'oratorio di San Pietro. Mi aiutò don Dante Clauser, che conoscevo fin da piccolo…”
C'erano anche l'assessore provinciale alla salute, politiche sociali e sport Luca Zeni, l'assessore comunale con delega per le materie dello sport e della semplificazione Tiziano Uez e la presidente del Comitato locale del CONI, Paola Mora – oltre a numerosi atleti allevati dal “Maestro Benemerito”, tra i quali il massimo dirigente della FIJLKAM (Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali) regionale Gilberto Gozzer – a festeggiare, il primo settembre scorso a Trento, nella sua palestra di via Fogazzaro, in occasione dei 50 anni di attività, Dario Tarabelli, la storia del judo trentino.
Classe 1935, Tarabelli è stato infatti il primo judoka della nostra provincia, promuovendo una disciplina sportiva tra le più complete al mondo, che l'UNESCO e il CIO hanno definito come “la migliore formazione iniziale per bambini e ragazzi dai 4 ai 21 anni”.
Tarabelli, com'è nata la sua passione per il judo?
“Il mio primo amore in realtà, ispirandomi al grande Primo Carnera, è stato il pugilato, praticato per un annetto. Dopodiché, emulando campioni come Fausto Coppi, Gino Bartali e Aldo Moser, sono salito sulla bicicletta, prendendo parte anche a tre edizioni del 'Giro della Bolghera'. Dal judo fui rapito in seguito”.
Parliamo sempre di una “nobile arte”, come la boxe.
“Difatti ne rimasi subito affascinato. Una sera del ’56, a Bolzano, finito il mio turno di lavoro nello stabilimento Lancia, entrai quasi per caso in un dojo, quello del maestro Emanuele Salonia (uno dei pionieri del judo in Alto Adige, ndr), e di quel ‘luogo in cui si insegna la via’ – la traduzione dal giapponese del termine dojo – mi innamorai perdutamente. Continuando a praticare questa disciplina nel capoluogo altoatesino fino al ’62 e ottenendo il grado di Cintura verde”.
Il judo stava diventando la sua linfa vitale.
“Sì, tant'è vero che assecondai questa mia passione, diplomandomi Cintura nera 1° Dan, anche dopo essermi trasferito a Winterthur, in Svizzera, per motivi di lavoro. E con la Nazionale elvetica, che mi aveva selezionato, avrei potuto partecipare all'Olimpiade di Tokyo '64, nella quale il judo fece il suo esordio. Ma, avendo già deciso di sposarmi, per amore non andai. A Tokyo, però, sono stato nel luglio 2010, come Maestro onorario al seguito del Maestro giapponese Shoji Sugiyama, per assistere ai corsi di kata presso il Kodokan Institute, la mecca del judo”.
A Trento quand'è tornato?
“Di ritorno in Italia, nel '66, con mia moglie Dina e i nostri due figli Angelica e Giovanni, mi stabilii definitivamente a Trento, coltivando il sogno di aprire una palestra. Mi aiutò don Dante Clauser, che conoscevo fin da piccolo, concedendomi una saletta nell'oratorio di San Pietro e permettendomi, con pochi atleti, di muovere i primi passi come insegnante. La necessità, però, di avere un tatami più grande e soprattutto di affiliarmi a una Federazione, mi fece entrare in contatto con un gruppetto di appassionati: Franco Scantamburlo, già presidente a Lavis di una palestra dell'allora FIAP, Nicola Tomatis, Sergio Veloccia, che aveva imparato il judo a Roma, e Bruno Zaninelli”.
Con loro, il 7 maggio 1968, inaugurò nel centro della città la prima palestra provinciale: il Judo Club Jigoro Kano.
“La palestra rimarrà sopra la galleria Garbari di piazza Cesare Battisti fino all'88, quando ci trasferimmo nell'attuale sede di via Fogazzaro. Nel 2010, il direttivo decise di cambiare il nome dell'associazione, mutuato inizialmente dall'inventore del judo moderno, dedicandomela. Da allora si chiama A.S.D. Dojo M° Benemerito Dario Tarabelli”.
In questi 50 anni, chissà quanti giovani avrà allevato…
“Sono oltre 200 le Cinture nere diplomatesi nelle discipline del judo e del ju-jitsu che ho insegnato, coadiuvato, con il passare del tempo, dai miei due figli. Diversi sono anche i tecnici, gli arbitri e i presidenti di giuria che ho formato. La maggior parte delle associazioni nate in Trentino, vent'anni dopo la mia palestra, è di ex allievi”.
Grazie a lei, sono tanti pure gli atleti diventati campioni italiani.
“Tra i primi, ricordo Francesco Hartmann, Oscar Bolfelli, Giuliano Facchinelli e Manuela Dal Pozzo. Altri judoka sono saliti sul podio o lo hanno sfiorato, disputando gare importanti anche a livello nazionale ed europeo. Io, comunque, non pretendevo che vincessero. A me bastava che la valutazione dei giudici fosse corretta (proprio a Tarabelli si deve la regola federale per la quale non si possono dare consigli nel corso dei combattimenti, ma soltanto durante il 'mate', l'interruzione momentanea, ndr), perché il giusto va sempre riconosciuto”.
È uno degli insegnamenti che, da quest'anno a bordo tatami con il suo bastone, Tarabelli – come un vero Sensei giapponese – dispensa ogni giorno ai suoi ragazzi. Ma, oltre a essere un maestro di sport e di vita, il “vecio e inossidabile Dario” è stato anche un forte agonista fino all'età di 73 anni, ottenendo risultati lusinghieri sia in campo europeo (medaglia d'oro tra i “Veterani” nel 2007, in Germania) sia mondiale (oro tra i “Master” nel 2008, in Italia).
Il riconoscimento più alto – addirittura più dell'onorificenza di “Cavaliere Ufficiale al Merito Sportivo” concessagli, nel 2000, dall'allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi – è, però, il grado di Cintura bianco/rossa 6° Dan conferitogli nel 2012 dalla FIJLKAM “per la pluridecennale e meritoria opera svolta in favore del judo italiano e in considerazione delle tante e particolari benemerenze acquisite attraverso il sempre costante impegno dimostrato per lo sviluppo tecnico e la diffusione della disciplina”.
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