Mi si chiede di una voce dalle Giudicarie a commento della nomina del nuovo vescovo di Trento, scelto fra i sacerdoti trentini nati nelle vallate bagnate dalla Sarca e dal Chiese. Non vi è dubbio che la soddisfazione sia unanime e condivisa dalle popolazioni, che si sentono “rappresentate” in quella diocesi, che ha alle proprie origini il vescovo San Vigilio, che la tradizione, da sempre, vuole legato alla Val Rendena, dove, sullo “Spiazzo”, in sponda destra della Sarca, avrebbe subito il sigillo del martirio.
Perciò il mio pensiero corre a quelle origini tanto lontane, quando stava avvenendo anche in Giudicarie una lenta ma progressiva evangelizzazione, che soltanto vari secoli dopo il sacrificio del vescovo Vigilio avrebbe trovato una prima organizzazione ecclesiastica nelle Sette Pievi, all’interno delle quali sarebbero sorte, come virgulti a se stanti, le numerose curazie e le parrocchie. Una crescita cristiana nelle vallate in cui esisteva soltanto l’allevamento del bestiame, la cura dei boschi e l’emigrazione, in una povertà imperante, ma in un ambiente sano di lavoratori impegnati, famiglia per famiglia, solo alla sopravvivenza.
Perché queste rimembranze lontane? Perché il nuovo vescovo – giudicariese doc per famiglia qui inserita e qui cresciuta generazione dopo generazione – lo sento figlio di questa terra e, perciò, strettamente imperniato da un passato che si ricollega a San Vigilio ed ai secoli in cui le Giudicarie sono diventate cristiane. Ed appunto di una impennata di “animazione cristiana” ci si attende da un vescovo, che ha assaporato una tradizione tanto peculiare, e tuttora bisognosa di rifarsi ai valori di un Vangelo vissuto e non solo predicato e ascoltato.
Le Giudicarie – oso pensare a nome dei miei convalligiani – desiderano che il loro conterraneo sia un vescovo “pastore”, nel vero senso della parola, e non un vescovo di puro passaggio come lo sono stati i tanti principi- vescovi qui transitati, nei secoli, per le visite pastorali, quasi unicamente preoccupati dell’apparato organizzativo e per impartire il sacramento della Cresima. Un vescovo “animatore”, capace di mantenersi valligiano fra i valligiani per incoraggiare e convincere ogni persona, ogni istituzione, ogni aggregazione, ogni parrocchia a vivere evangelicamente, ossia secondo quelle modalità di cui Gesù Cristo ha dato l’esempio nella semplicità di vita e nella sua disponibilità per gli altri.
Quasi un “vescovo emigrante” – come i moléti, i segantini, i maiolini e tanti altri – senza paludamenti emblematici e senza retorica, ma impegnato a farsi vicino alle persone ed alle istituzioni con quella semplicità e quella carezza apostolica che incoraggia e convince a “vivere bene”, tutti insieme, per il vero – e ben conosciuto ma mai seriamente voluto – “bene comune”.
Mario Antolini Musón
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