Paolo Zanetti, ex calciatore di serie A e allenatore del Südtirol si è raccontato ai microfoni di radio Trentino inBlu
A soli 35 anni è l’allenatore più giovane in tutta la serie C ed è già il tecnico rivelazione del campionato in corso con il suo Südtirol, unico portabandiera regionale nel calcio professionistico, al momento quarto in classifica nel girone B della terza serie nazionale. Paolo Zanetti, 98 presenze in serie A da calciatore con la maglia di Torino, Vicenza, Empoli e Atalanta e una lunga carriera davanti da allenatore, domenica scorsa è stato l’ospite d’onore della Noche del 10, la trasmissione sportiva di Radio Trentino inBlu, e non si è certo risparmiato di fronte alla raffica di domande dei conduttori, dimostrando grande lucidità e capacità critica, doti più che mai rare nel mondo del calcio.
Mister, a parte il Padova che è primo in fuga solitaria la classifica è cortissima, siete in tanti a giocarvi i piazzamenti migliori per i playoff, che sono il vostro obiettivo stagionale…
Sì, è diventato l'obiettivo andando avanti con il campionato, all'inizio mi era stato chiesto di fare meglio dell'anno scorso, ma dopo una partenza stentata una volta trovato il giusto amalgama abbiamo avuto un cammino da grande squadra: abbiamo perso 2 sole partite nelle ultime 15 e ora i riflettori sono puntati anche su di noi, le altre squadre ci rispettano molto di più e quindi tutto si complica. La qualificazione ai playoff significherebbe che abbiamo fatto un ottimo campionato e che abbiamo raggiunto il nostro obiettivo, sarebbe molto bello per noi arrivarci e vivere questa esperienza.
Da calciatore hai avuto l’opportunità di conoscere ambienti di lavoro di altissimo livello, tipo Torino o Vicenza, come ti trovi a Bolzano?
Come organizzazione, progettualità e lungimiranza il Südtirol non ha niente da invidiare a realtà più grosse, la società ha investito sulle infrastrutture in maniera impressionante, abbiamo un centro sportivo che non avevo neanche al Torino, poi c’è una struttura societaria importante che ha il coraggio di puntare sui giovani e non fa mai il passo più lungo della gamba, è una delle pochissime società in attivo della serie C e permette di lavorare in prospettiva. Rispetto ad altre piazze però manca un certo tipo di pubblico, sarebbe bello riuscire a portare più gente allo stadio ed avere un po’ più di spinta.
Hai idea di come si potrebbe fare per cercare di avvicinare il pubblico alle squadre del territorio, magari togliendo attenzione alle grandi di serie A?
Prima di tutto bisogna considerare il fatto che in Alto Adige il calcio non è lo sport più seguito, c’è l’hockey che fa 4-5000 presenze al palazzetto, ma sicuramente per riavvicinare i tifosi la prima cosa da fare è vincere e magari riuscire ad andare in categorie di maggior interesse come può essere la serie B.
Come stai vivendo l'esordio sulla panchina di una prima squadra?
Ho un carattere piuttosto freddo da questo punto di vista, non sono ancora arrivato in serie A ma sto cercando di maturare in una categoria che mi permette di farlo e nella piazza ideale, senza troppe pressioni. L'esordio è sempre una giornata speciale per tutti ma l'ho vissuto molto tranquillamente, in maniera diversa rispetto all'esordio da calciatore in serie A, che è una cosa che ti porti dentro per sempre. Scendere in campo a San Siro o il primo gol in A sono momenti indimenticabili, da allenatore invece le cose che si ricordano di più sono le vittorie.
Cosa pensi del momento difficile che sta attraversando il calcio italiano dopo la mancata qualificazione al mondiale?
Penso che nel calcio italiano ci sia troppa politica e troppo poca meritocrazia. È una situazione triste perché in fondo il calcio è uno sport molto semplice, io da bambino passavo intere giornate con gli amici al campo e giocare in strada in mezzo a mille ostacoli era già un allenamento che permetteva di sviluppare capacità motorie impressionanti. Ora i ragazzini giocano tutto il tempo con il telefonino e poi pagano le scuole calcio per fare 2 ore di allenamento in settimana. Diventa quindi di vitale importanza la preparazione degli allenatori, ma se in molte società sia professionistiche che dilettantistiche, dove parte la crescita dei ragazzi, i tecnici sono scelti non per le qualità ma per amicizie, politica o conoscenze, tutto questo poi si paga in termini di nazionale A, dato che alla fine è tutto un percorso. In questo momento siamo inferiori, è vero che non troppi anni fa abbiamo vinto i mondiali ma ora quei campioni non ci sono più e non ne vedo neppure in un futuro prossimo. Credo sia necessario farsi un grosso esame di coscienza tutti e tornare alla semplicità del calcio, che è la sua parte più bella.
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