“Inseguire è sempre più difficile…”

L'ex direttore generale del Giro d'Italia, Angelo Zomegnan, ha raccontato a Trento la sua esperienza, intervenendo all'evento giornalistico formativo “Diritto e doping”, che si è svolto la settimana scorsa a Trento

“Il bracconiere è sempre in fuga dal guardacaccia, ma il miglior guardacaccia è l'ex bracconiere”. Lo ha detto l'ex direttore generale (dal 2004 al 2011) del Giro d'Italia, Angelo Zomegnan, intervenendo all'evento giornalistico formativo “Diritto e doping”, che si è svolto la settimana scorsa a Trento.

L'incontro è stato aperto dall'avv. Concetta Bonaldi, figlia della “mammina volante” dell'Alta Badia, Maria Canins, ed esperta di diritto dello sport, la quale si è soffermata su DIRECO, “l'autorità che gestisce, disciplina e regola le attività sportive in Italia e che si occupa altresì di reprimere il doping nell'ambito dell'ordinamento sportivo con la funzione di Organizzazione Nazionale Anti-doping, ovvero la NADO”.

Un compito decisamente arduo, visto che lo sport, oggi, è collegato alla politica internazionale e alla globalizzazione. “Si è passati da una interconnessione sport-politica-economia post Prima e ante Seconda guerra mondiale a scopo propagandistico dei regimi dittatoriali di allora a una interconnessione tra sport, geopolitica e geoeconomia”, ha sottolineato Francesco Alberti, docente della Scuola dello Sport del CONI Provinciale e laureato in Scienze Politiche Internazionali. “Oggi le nazioni forti – pensiamo al Kazakistan, che ha appena organizzato l'Universiade invernale, e all'Azerbaijan, che nel 2015 ha ospitato i Giochi Europei – sono quelle che hanno una grande ricchezza commerciale ed energetica. E una medaglia d'oro vale decimi di punto percentuale del Prodotto Interno Lordo. Questo è un retaggio della cosiddetta Guerra fredda, durante la quale la Repubblica Democratica Tedesca faceva dello sport propaganda politica, economica e del suo modello sociale”.

Difatti, dai Giochi di Città del Messico 1968 a Seul '88, la DDR, malgrado una popolazione di soli 16 milioni di abitanti, ottenne praticamente lo stesso numero di medaglie olimpiche dell'ex Unione Sovietica e degli Stati Uniti. “Merito, si fa per dire, del doping finanziato dal governo”, ha spiegato Alberti. “Doping di stato che ha sacrificato la vita delle persone – emblematico il caso della pesista Heidi Krieger diventata successivamente Andreas – i suoi giovani e quindi il suo stesso futuro, per la propaganda nazionalista. Probabilmente alcune atlete, giacché il doping funzionava perfettamente con le donne, avrebbero vinto anche senza essere formate nei laboratori, ma la DDR, che pure era meglio strutturata dell'Occidente, non poteva permettersi di rischiare”.

Anche oggi, però, la nascita di un grande campione è sempre meno lasciata al caso. “Più lo sport è tecnologico e prevede attrezzature, più è appannaggio delle grandi nazioni. L'unico sport democratico, tra virgolette, è l'atletica leggera”, ha affermato Alberti. “Per cautelarsi, nel corso degli anni lo sport ha provveduto a darsi una legislazione ad hoc come la Dichiarazione sul fair play fatta nel '76 dal Comitato Olimpico Internazionale, il Codice europeo di etica sportiva del '93 e la Legge 376 del 2000, concernente la disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping”.

Doping che paga subito, ma non paga nel tempo, anche alla luce del continuo cambiamento dei medaglieri. “Fortunatamente non ci sono solo la piccola DDR o il fenomeno Giamaica, ancora più eclatante. Lo sport sa raccontare pure imprese bellissime come quella dell'etiope Abele Bikila, che, nell'Olimpiade di Roma del '60, vinse a piedi nudi sul pavé dell'Appia Antica”, ha ricordato Zomegnan, ex vicedirettore de “La Gazzetta dello Sport” e da sei anni imprenditore sportivo, sempre impegnato nella lotta al doping. “Io, che nelle settimane precedenti al Giro andavo di nascosto nelle procure per evitare di far partire corridori sotto indagine, divido lo sport da prima della famigerata Università di Ferrara – fotocopia di quella di Friburgo e dell'Istituto di Lipsia – a dopo”.

Forse sarebbe il caso di dividere anche gli sport. “Oggi c'è molto più doping negli altri sport che nel ciclismo, i cui atleti vengono sottoposti a 2.800 controlli longitudinali, che si basano sui tre parametri (ematologico, steroideo ed endocrinologico, ndr) del passaporto biologico. Il 96,9% riguarda il ciclismo su strada, mentre l'1,7% il cross, l'1,4% la pista e addirittura lo 0% la mountain bike”, ha fatto notare Zomegnan. “Eppure, come per l'Operación Puerto, dell'inchiesta fatta a suo tempo da Juliet Macur, giornalista del New York Times, su ciclismo e football americano, si è dato rilievo, anche penale, soltanto al ciclismo. Sport che, con l'introduzione del passaporto biologico dai 14 anni fino a quando si smette di correre, si è ripulito dall'interno, a differenza di altre Federazioni. Fermo restando che il bracconiere è sempre in fuga dal guardacaccia, ma il miglior guardacaccia è l'ex bracconiere”.

Se Zomegnan è portato, per sua stessa ammissione, a vedere più malafede di quanta ce ne sia in realtà, è anche per altri motivi. “Io sto a un metro di distanza dall'atleta. Non perché tutti siano bugiardi, ma perché non tutti dicono la verità. E quel che è peggio, non esiste l'uniformità della condanna. Lo sport è utilizzato per e spinto a…”, ha chiosato. “Fanno sorridere oggigiorno le cinque supposte di caffeina che Gino Bartali mi raccontava di aver trovato una volta nella camera di Fausto Coppi. Quello che il medico ferrarese Michele Ferrari (radiato dall'U.S. Anti-Doping Agency nel luglio 2012, ndr) ha guadagnato grazie a Lance Armstrong, l'Unione Ciclistica Internazionale lo spendeva per combattere il doping. Inseguire è sempre più difficile che guidare”.

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