L'imprenditore di successo: “Casualità mista a fortuna. Ma anche la dolorosa chiusura della cartiera in Valtellina”
Le vittorie nello sport: “Un piacere collettivo, contento di avervi contribuito”
La politica deludente: “Quella che ho sperimentato è un passare da un umore all'altro con una semplicità esagerata: non è umana”
“Ma qui avete cambiato tutto”. Ha ottima memoria il giramondo Diego Mosna. A radio Trentino inBlu c'era stato alcuni anni fa e ricordava uno studio diverso, meno colorato e solare. Quando vi torna, venerdì 18 febbraio, mancano due giorni al suo compleanno. “Ma non mi piace più festeggiare il mio invecchiamento”, ironizza replicando agli auguri anticipati. Poi però ammette: “E' un gioco con me stesso, ma in ogni caso il traguardo più ambito è proprio il fatto di aver raggiunto i sessantotto”.
Le andrebbe di passare alla storia più per l'attività imprenditoriale o quella sportiva?
Senza l'attività imprenditoriale non sarebbe stata possibile quella sportiva. Certo la pallavolo mi è sempre piaciuta, è una passione che risale ai tempi della scuola, ci giocavo con i compagni di classe. Quando ti avvicini a questo sport vieni contagiato.
Il Mosna studente?
Non un'eccellenza, anzi, ero piuttosto svogliato ed ho perso più tempo fuori dalla scuola che non sui banchi. Ho avuto le mie difficoltà anche per via della perdita di mio padre per la quale fui costretto ad interrompere gli studi all'ultimo anno delle ITI.
Il rimpianto maggiore?
Tanti e nessuno. Non ne ricordo uno. Ogni esperienza è fatta di positività e negatività. Di certo non rifarei l'esperienza politica.
IMPRENDITORE RUSPANTE
A quello arriviamo dopo. Parliamo di quella prima impresa a inizio anni Settanta?
Ci fu molta casualità mista a fortuna. Lavoravo in una società a Brescia. Nel '71 il titolare Luigi Loda decise di mettere in vendita le filiali. Dissi: “Milano la prendo io”. Non avevo soldi. C'era azzardo e follia giovanile, comprai tutto a credito. Vendevamo macchine per la riproduzione dei disegni, quindi la carta eliografica. Nel 1973 l'approdo fortuito a Cles, si iniziò la trasformazione del prodotto e poi dal 19 febbraio 1978 l'inizio della produzione vera e propria…
Nel '78 aveva solo trent'anni: si ritiene il classico “self made man” o deve gratitudine a qualcuno?
Tutto è passato sulla mia pelle, ma le persone con le quali ho collaborato fanno parte del mio processo di maturazione. La gratitudine è qualcosa di talmente raro che sta diventando sempre più preziosa. Non potrò mai dimenticare l'americano Bob Neeb senior, che mi diede la possibilità di importare dagli USA macchine molto costose. Negli anni Settanta per un italiano avere credito da un americano non era un fatto da poco. Andai di persona da lui, parlavo malissimo l'inglese e mi accompagnò uno studente romano che frequentava l'Università del North Carolina.
Oggi la sua impresa che numeri ha?
Ottocento persone, in calo rispetto agli inizi degli anni Duemila, con un giro d'affari stabile sui centottanta milioni di euro e una ventina di sedi tra produttive e commerciali in Europa, Usa e Asia.
Il passo più doloroso dal punto di vista imprenditoriale?
La chiusura della cartiera della Valtellina a Tirano che faceva da magazzino per tutti. Aveva centodieci dipendenti e abbiamo dovuto chiudere solo per un problema di costi energetici. Ne siamo usciti bene da un punto di vista etico e commerciale ma quando un imprenditore chiude non è mai un successo.
In azienda si definisce un duro?
Sì abbastanza. Un duro che si sta ammorbidendo. Bisogna essere duri anzitutto con se stessi, rigidi rispetto alla regole. Se non si ha tempra, discutibile fin che si vuole, non si ottengono risultati, come nello sport.
PRESIDENTE APPASSIONATO
L'ingresso di Diego Mosna nel mondo sportivo risale al 2000: cosa la spinse davvero?
Il motivo fu imprenditoriale. Mi proposero non solo di rilevare la società di Mezzolombardo ma di passare anche dall'A2 all'A1 acquistando i diritti dell'allora Ravenna. Mi convinsero, raccontandomi una bugia, che l'impegno finanziario sarebbe stato minore. Peraltro senza Trentino Marketing e l'Itas del cavaliere Benedetti non sarebbe stato possibile.
Fu a un passo dall’abbandono: cosa la spinse al passo indietro?
C'era un'offerta importante da Roma che voleva entrare nel mondo della pallavolo. Mi persuase la vicinanza del territorio: la Provincia si impegnò nella sponsorizzazione, Itas fece uno sforzo ulteriore, la BTB ci premiò.
Tra i tanti, il successo sportivo da incorniciare?
I tifosi amano lo scudetto ma quando competi con le grandi città d'Europa è la cosa più bella. La prima vittoria in Champions a Praga non si dimentica.
La sconfitta più bruciante?
Finale scudetto con Macerata a Milano con quella palla forse dentro forse fuori. Fosse stata data buona lo scudetto era nostro. Quando il destino dipende da altri e sei impotente, brucia moltissimo.
Quando vede l’entusiasmo del palazzetto cosa pensa?
Brividi. E' un piacere collettivo e sono contento di avervi contribuito. Il palazzetto ha acquisito anche un'aurea di qualità del tifo.
IL POLITICO DELUSO
Dopo Renato Zero (I migliori anni della nostra vita, n.d.r.) eccoci al Mosna politico. Il 7 giugno 2013 annunciava la sua candidatura a Presidente della Provincia autonoma di Trento: credeva davvero di poter essere competitivo?
Sì perché quando inizio un'impresa ci credo. Sono entrato non proprio in un campo minato ma ho trovato ostacoli non preventivabili.
Ma con le dimissioni dal consiglio nel dicembre 2014 non pensa di aver tradito la fiducia dei suoi elettori?
S', pensando a quei poco meno di cinquantamila voti, quindi una rappresentanza importante. Ma per me era impossibile portare avanti un discorso senza poter incidere in maniera sostanziale. Nel mio mondo decido, occupo, creo e faccio perché posso decidere.
Ma non l'avevano avvisata?
C'è sempre l'illusione di poter dare un contributo.
Ma allora si sente lei tradito dalla politica?
Da quella politica che non è più rappresentativa della realtà vera. I politici non fanno la vita che fanno tutti gli altri e quindi non vivono i problemi. La politica che ho sperimentato è un passare da un umore all'altro con una semplicità esagerata. Non è umana. Lo dico senza voler parlar male: è avvolta in una spirale che mira solo ad occupare un territorio, anche se Roma è il male vero, la neoplasia, mentre in Trentino abbiamo ancora una qualità generale che è un bene prezioso.
Cosa le manca? Che Trentino s’immaginava?
Vedevo un'eccellenza economica, un Trentino che recuperava il vecchio, e liberava verde e avrei fatto qualsiasi cosa per richiamare eccellenze. Qualcosa c'è ma abbiamo il freno a mano tirato. Siamo troppo poco spinti dall'innovazione. Io uscirei anche dai limiti di Bruxelles se c'è l'azienda che fa ricerca e mi assume cento persone. Saranno altri a titolarmi. Ecco, ci vuole più coraggio.
L'ultima preghiera?
Tendenzialmente non chiedo. Ma tante volte mi rivolgo a mio padre sperando mi aiuti da dove è adesso.
Per cosa rinuncerebbe ai suoi baffi imperiali?
Per moltissime cose come per nessuna. Dipende sempre dalla posta in palio!
Lascia una recensione