Un libro in cui tutto corrisponde alla realtà “bambina”, così possiamo definire La ferita (Camelozampa; età 6+), una realtà che rimanda all’idea autentica di infanzia, descritta dal punto di vista diretto, concreto e schietto dei bambini.
La storia racconta di un giorno in cui a scuola, durante la ricreazione, i bambini giocano vivacemente intorno al tavolo da ping pong, rincorrendosi e salendoci sopra, perché non ci sono le racchette per giocare come si deve. L’incidente è in agguato: il bambino narratore, protagonista della storia, cade e si sbuccia un ginocchio. Il sangue esce e mette il piccolo al centro dell’attenzione di tutti. Non è una ferita grave, ma attira ugualmente l’interesse e la curiosità quasi scientifica del ferito e dei suoi compagni che, con chirurgica precisione, osservano il sangue che esce e seguono l’evolversi della ferita, parallelamente al modificarsi dei rapporti tra i compagni.
Come nei suoi altri lavori (“La buca”, “Il regalo”, “Stupido disegno” e “Facciamo che io ero un supereroe”), Emma AdBåge riesce a dare una precisa rappresentazione dell’infanzia con la consapevolezza che si tratta di un’età con le sue specificità che vanno oltre il logico sguardo adulto, di cui lei spesso si prende gioco. Quello bambino è un punto di vista e di interpretazione unico e inimitabile che va trattato con rispetto ed onestà. Onestà che si trova negli esibiti dettagli “corporei” come il sangue rosso sul pavimento e la grossa crosta che, alla fine si stacca e galleggia nell’acqua della piscina.
I libri che hanno al centro l’infanzia non possono non avere radici in una conoscenza attenta e profonda di questa età unica. Al di là dei giudizi critici che l’occhio adulto vuole e deve comunicare, i libri che funzionano con i bambini e che a loro piacciono sono quelli in cui si possono riconoscere. Quale bambino non è caduto, si è ferito, è stato medicato e incerottato da un adulto e ha potuto poi mostrare agli altri con orgoglio il segno indelebile che gli è rimasto sulla pelle? L’adulto cerca di mascherare le ferite (e non solo quelle fisiche), il bambino no: le esamina, le studia, ne controlla l’aspetto e le usa per uscire dall’invisibilità, assumendo temporaneamente prestigio e notorietà. E, forse, alla fine la ferita fa più male proprio quando guarisce e la cicatrice sparisce.
Lascia una recensione