Argentina, il ritorno dei cartoneros

Alla vigilia del voto presidenziale si riaffaccia il peronismo nella sua espressione più genuina

Non che il voto presidenziale di domenica 27 ottobre in Argentina possa cambiare di punto in bianco lo stato delle cose. Che è purtroppo decisamente pessimo. Ma si spera che non si continui a precipitare. L’Argentina sta affrontando l’ennesima bancarotta finanziaria (ha dovuto chiedere un maxi prestito al Fondo monetario che di certo non le concede i soldi se non a caro prezzo) dovuta agli errori clamorosi e dolosi, questa volta del presidente Mauricio Macrì.

Bancarotta finanziaria che significa che lo Stato si ritrova senza quattrini in cassa e questo per una gestione dispendiosa e dissennata della “res publica”. Naturalmente tutto questo bailamme finanziario si traduce in effetti devastanti sull’economia reale, cioè sulla vita concreta quotidiana della gente. Sono tornati i cartoneros, persone che si ritrovano di punto in bianco impoverite e costrette a raccogliere cartoni e carta fuori dai supermercati per rivenderli al miglior offerente. Il baratto ha ripreso vigore: io ti do una cassapanca, tu mi dai un chilo di patate e qualche uovo. Le fabbriche chiudono in serie e le imprese se ne vanno; gli imprenditori rurali licenziano i braccianti, per lo meno quelli che “rendono” meno e sono le persone avanti con gli anni, le donne e chiunque non dimostri canoni adeguati di produttività.

Di fronte a simile catastrofe sociale le chances di vittoria per Macrì sono praticamente ridotte a zero. Vinceranno (quasi certamente) i peronisti, stavolta con una coppia inedita composta dai due Fernàndez: Alberto che sarà presidente per la prima volta, e Cristina che sarà vice. Non sono parenti, la seconda è già stata presidente argentina dal 2007 al 2015, il primo lo sarà questa volta e dovrà sopportare la presenza dell’ingombrante vedova Kirchner.

Cerchiamo di spiegare, perché sembra che in Argentina ci sia carenza grave di classe dirigente. Nestor Kirchner è stato capo dello stato in Argentina dal 2003 al 2007; scomparso per malattia, ha preso il suo posto la consorte Cristina, donna ambiziosa e non a caso in quegli anni coinvolta in numerosi scandali finanziari –dal finanziamento illecito, alla corruzione fino alla concussione, da cui, fra prescrizioni e lievi condanne, è uscita quasi indenne. Un uso disinvolto e “personale” del denaro di tutti- ma non di meno tornata in auge perché Mauricio Macrì si è ritrovato a gestire ancor peggio l’amministrazione pubblica. E così con l’inedita coppia dei Fernàndez i descamisados –i derelitti, gli ultimi nella scala sociale, che sono numerosissimi- tornano a sperare che le cose vadano un po’ meglio. Torna il peronismo nella sua espressione più genuina, un misto di populismo e di schietta adesione ai valori sociali del popolo vero, delle persone in carne e ossa che cercano di campare alla meglio tra mille ristrettezze e difficoltà apparentemente insormontabili (mancanza di case e affitti esosi, lavoro che manca e reddito che si azzera).

L’Argentina, alla vigilia del voto e sul finire del 2019, si ritrova con un tasso di inflazione del 55%, il più alto di tutta l’America Latina se si eccettua il Venezuela. Il Fondo monetario ha sì assicurato un programma di assistenza monstre di 57 miliardi di dollari (il più alto importo mai erogato finora dal Fmi) ma in cambio ha chiesto draconiane misure di austerità! Austerità già in atto che ha fatto crescere il livello di povertà assoluta al 34,1%. Non c’è per niente da stare allegri. Sono livelli di recessione che sfiorano la depressione economica (disoccupazione altissima, reddito a picco, potere d’acquisto del peso che si sbriciola nel giro di poche ore) cui l’Argentina è purtroppo e desolatamente abituata in modo ormai ciclico.

Nel 2005 il governo di Nestor Kirchner aveva costretto i suoi creditori ad accettare una perdita del 70% del valore dei titoli che avevano comprato (una mia zia che aveva acquistato un modesto pacchetto di titoli di stato argentini ci rimase di sale, e furono numerosi anche i risparmiatori trentini gabbati). Ma come dice il proverbio: “Se hai un debito di 100mila dollari con la tua banca, hai una seria questione che ti tiene sveglio anche di notte; se il debito è invece di 100 milioni di dollari, allora è la tua banca che ha un problema fino a farla fallire”.

Risulterà decisivo il grado di coesione della coppia presidenziale (presidente e vice) e la loro capacità di rinegoziare il prestito, rendendolo meno oneroso; aumentare i salari e le pensioni senza che schizzi alle stelle l’inflazione; battersi contro le diseguaglianze che sono aumentate a dismisura, perché non è vero che tutti gli argentini sentono la crisi nera che li attanaglia, una minoranza potente se la ride e se la gode. Insomma un programma di governo che mette i brividi. Sembra che dagli errori compiuti non si riesca ad imparare mai. E stavolta?

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