In Colombia muore il processo di pace

Il percorso avviato minaccia i fautori dello status quo, che vedono minacciati i loro privilegi. Sono centinaia i leader indigeni uccisi in una guerra a bassa intensità

In Colombia, nel disinteresse pressoché dominante dell’opinione pubblica internazionale (e dei più diffusi mass media), si consuma una strage continua, subdola, generalizzata. Vengono assassinati leader indigeni, rappresentanti contadini, membri di cooperative agricole, catechisti, ex guerriglieri delle Farc che avevano accettato di deporre le armi e seguivano programmi di reinserimento nella vita civile.

Dal dicembre 2016 – poco più di due anni e mezzo – sono 167 i dirigenti indigeni uccisi; 140 i guerriglieri Farc reinseriti. E’ l’Onic (l’Organizzazione nazionale indigena della Colombia) a renderlo noto. Si tratta di una guerra guerreggiata a bassa intensità che recide le speranze che il processo di pace avviato stava sollecitando includendo diffusi settori della società civile colombiana.

Ma perché questa insensata e cruenta recrudescenza della violenza più cieca che si abbatte sugli innocenti? Perché alcune frange molto potenti della società un processo di pace basato sulla giustizia assolutamente non lo vogliono, perché metterebbe in discussione il potere acquisito nel corso di decenni di dominazione e sfruttamento.

Redistribuire le terre coltivate, elevare i salari dei braccianti agricoli rendendoli più equi, riconoscere la piena legittimità delle organizzazioni collettive (e ce ne sono molte in Colombia, segno di una società viva che desidera riprendersi un protagonismo per troppo tempo soffocato e impedito), tutto questo non può essere tollerato da parte delle classi dominanti (i proprietari terrieri, i militari in alto grado corrotti, un establishment finanziario che specula sui prezzi di cotone, caffè e cacao e altri prodotti cardine dell’economia reale). Ecco perché il perpetuarsi della violenza contro chiunque metta in discussione l’ordine costituito.

Nonostante questo panorama disumano che incute paura e terrore nella gente, la Onic ha voluto ribadire la propria opzione per la pace “con giustizia sociale”. “Crediamo che il conflitto, la violenza e il ricorso alle armi non abbiano alcun futuro nel nostro paese!”.

Il metodo seguito da parte delle bande paramilitari è noto, ed è sempre lo stesso, adottato anni fa quando era presidente il leader dell’estrema destra Alvaro Uribe. Si mostrano cadaveri – più o meno sfigurati – e li si presenta come guerriglieri caduti in combattimento, mentre in realtà si tratta di giovani innocenti assassinati brutalmente dopo essere stati prelevati a forza dalle loro case, nelle fattorie agricole, nelle sedi sindacali, durante le riunioni di fede e le celebrazioni eucaristiche. Chi ha visto, avendo assistito al sequestro ed essendo stato presente, viene minacciato di fare la stessa fine. E’ un metodo efficacissimo per diffondere la paura, come un morbo micidiale, una malattia contagiosa che si diffonde inesorabile. Si tratta in genere – quelli che risultano desaparecidos – di persone impegnate anche nei processi di reinserimento sociale a cui il governo si era impegnato (negli accordi di pace) a garantire protezione e riparo nel caso di minacce. Ed è nelle aree rurali che avviene il peggio, come a ribadire che chi tocca la grande proprietà latifondista si fa male e muore.

E’ ben vero che una parte dei guerriglieri delle Farc è ritornata alla macchia, riprendendo le armi, ma si tratta di una piccola minoranza. Il governo però si appiglia a questa frangia come un pretesto per una strategia d’attacco a tutto il fronte degli ex guerriglieri che invece vogliono reinserirsi pacificamente nei villaggi e nelle città. Ai primi di settembre (in prossimità della Giornata internazionale della donna indigena del 5 settembre) è stata sequestrata e poi uccisa, secondo la denuncia di Asocata e Ascatidar, due associazioni indigene locali, e dell'Organización Nacional Indígena de Colombia (Onic), la leader indigena Makaguan Magdalena Cucubana, conosciuta in tutta la Colombia, profonda conoscitrice della sua gente.

E’ un momento cruciale per capire se si torna indietro agli anni terribili della repressione governativa e dei paramilitari o si vira decisamente in avanti, per una società riconciliata come vuole la gran parte del popolo colombiano.

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