“Sono sei anni che non riusciamo a sapere cosa sia successo. È vero che è stato rapito in una zona di guerra, ma alcune di queste come Raqqa, sono state ormai liberate dal novembre 2017. Sappiamo che in quei Paesi la prigionia può durare lunghissimo tempo, senza che si sappia nulla. Questo mi induce a pensare che il silenzio non vuol dire necessariamente che mio fratello sia morto ma che possa essere ancora vivo”. Lo ha detto a Roma Francesca Dall’Oglio, sorella maggiore del gesuita Paolo, durante la conferenza stampa promossa presso la Sala Stampa estera a Roma dall’associazione Giornalisti Amici di Padre Paolo Dall’Oglio nel sesto anniversario del giorno del sequestro del sacerdote a Raqqa in Siria. “Quattro governi si sono alternati: Letta, Renzi, Gentiloni e Conte. Da tutti abbiamo avuto sempre rassicurazioni e cenni di attenzione per Paolo che ci hanno fatto tenere alta la fiducia”, ha detto la sorella. Ma la fiducia si è incrinata: “La valigia di nostro fratello Paolo ci è tornata indietro solo dopo 4 anni, nel 2018, mentre era in possesso degli investigatori in Italia sin dal giugno 2014”.
Circa le notizie di una presenza del gesuita a Baghuz, la sorella del sacerdote ha rivelato di aver cercato riscontri. “A sei anni è ora che noi familiari possiamo avere percezione reale e con riscontri del lavoro è stato svolto e si sta svolgendo. Paolo è cittadino italiano. C’è bisogno di una maggiore trasparenza e coordinamento nel rispetto della necessaria riservatezza dei servizi di Intelligence in modo da allontanare da noi la percezione che Paolo sia stato oggetto di interessi politici contrastanti, non necessariamente solo italiani”. Chiudendo il suo intervento Francesca Dall’Oglio ha voluto citare altri rapiti tutt’ora nelle mani dei loro sequestratori, tra questi la giovane volontaria Silvia Romano e padre Gigi Maccalli. Alla conferenza stampa erano presenti anche Giovanni e Immacolata Dall’Oglio, fratello e sorella del gesuita.
Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, al termine della conferenza stampa ha ammonito: ”Chi sa deve dire, i familiari hanno il diritto sacrosanto di sapere”.
“A Raqqa – ha osservato Noury – si può entrare da un anno e mezzo tranquillamente. Ci sono dei rischi ma non c’è più una situazione bellica; c’è un controllo del territorio da parte di soggetti che dovrebbero essere teoricamente alleati dell’Italia. Insomma, ci sono condizioni che prima non c’erano e quindi, con il coordinamento necessario, si dovrebbe andare a vedere cosa è successo”.
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