Brasile: un bilancio dei primi mesi di governo mentre crescono le azioni di contrasto al nuovo leader
Non è un fulmine a ciel sereno il recentissimo scandalo in Brasile sulle collusioni, ripetute e “programmate” dei giudici – da una parte il capo del pool inquirente che rappresenta l’accusa e dall’altra il giudice “terzo”, neutro e imparziale rispetto alle parti in causa, Sergio Moro – che hanno di fatto messo fuori gioco (e ridotto in carcere) l’ex presidente Lula e accelerato la vittoria di Jair Bolsonaro, ormai diversi mesi fa. Già nell’autunno scorso erano parse fin troppo pretestuose le accuse contro Lula –indagato e poi condannato per un episodio di corruzione dai contorni poco chiari- che aveva avuto pochissime possibilità di difendersi durante il processo.
Ora si scopre che il pubblico minist che poi ha condannato Lula, appunto, quel Sergio Moro che poi è stato “ripagato” e ricompensato ottenendo il ministero della Giustizia ed entrando così nel nuovo governo brasiliano. Un eclatante caso di malaffare e di commistione tra potere giudiziario e potere politico e all’interno della stessa magistratura indebite influenze e raggiri che lo stesso codice penale carioca non tollera e anzi sanziona.
Si vedrà che seguito ha questa brutta storia, non è un cammino facile, i tempi si prevedono lunghi e tortuosi.
Ma alcune considerazioni si impongono.
Prima di tutto la grandissima vivacità della società brasiliana che se da un lato ha “votato” l’estrema destra in larghi strati della popolazione – Bolsonaro come personaggio e come “messaggio” non rappresenta nient’altro che i peggiori propositi in quanto a discriminazione sociale e istinti, i più retrivi sul modello di società che auspica e per cui opera- dall’altra mostra un forte spirito di resistenza e di lotta, in molteplici settori sociali che spesso vengono dimenticati come gli operai di fabbrica (esistono ancora, anche in Brasile); i lavoratori dei campi, i “senza terra”, le comunità indigene –numerosissime, seppure ridotte numericamente, ma molto combattive e “presenti” con le proprie rivendicazioni di giustizia e di “esistenza”, nel senso che sovente sono minacciate nella loro stessa possibilità di sopravvivenza.
I primi mesi di governo Bolsonaro non hanno smentito la “fama” del personaggio: nostalgia per le nefandezze della dittatura militare degli anni ’70 (arresti illegali, detenzioni dure, uso della tortura per estorcere confessioni); limitazioni dell’habeas corpus riguardo alle libertà personali; restrizione dei diritti di manifestazione politica; repressione del diritto di sciopero e – non ultimo per importanza e gravità – una forte connotazione “machista” intesa come invito se non costrizione per le donne di rimanere o tornare in casa, considerate inferiori geneticamente e umanamente agli uomini e, infine, ripetute sollecitazioni all’uso facile delle armi per difendersi.
Sono larghi strati della società brasiliana (una società amplissima e assai stratificata: il Brasile è un continente! Con grandi differenze tra il nordest, povero e “contadino” e il centrosud più “avanzato” e occidentale), moltitudini che si stanno risvegliando e cercano di contrastare le politiche di Bolsonaro a cominciare dalla sua politica economica, classista, nel senso che tende ad agevolare i ricchi e colpire le classi medie e i poveri, che sono una moltitudine. Hanno cominciato gli insegnanti; ci sono estese proteste per il taglio alle pensioni che nella stragrande maggioranza dei casi sono pensioni sotto la soglia di dignità. Continuano anche le rivendicazioni dei “senza terra” che non si rassegnano all’estensione delle aziende del latifondo dove i contadini sono trasformati in braccianti con pochissimi diritti certi. Insomma una società per niente rassegnata che vuol far sentire la propria voce, a partire dai settori che più soffrono le politiche di esclusione del governo.
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