C’è una strettissima connessione tra arretratezza sociale e povertà da un lato e il moltiplicarsi delle malattie. Ieri in Trentino, oggi in Africa, ci ricorda il convegno del Cuamm
La condizione delle bambine e dei bambini nel Trentino del 1800 e quella dell’infanzia dell’Africa di oggi. Azzeccata comparazione quella proposta da “Medici con l’Africa-Cuamm” alle Gallerie di Piedicastello nel mattino di sabato 30 marzo. “La dignità di crescere” è un tema – una proposta e un impegno di lavoro – che ai medici che spartiscono il loro tempo con il continente oppresso preme tantissimo. Non per niente dedicano a volte le loro ferie, le vacanze, per faticare senza orari di lavoro, a volte, negli ospedali africani, a Wolisso in Etiopia, a Kampala in Uganda, nelle aride zone del Ciad, in Mozambico e in Angola. Erano numerosi i presenti al convegno per dire che una condizione di oppressione e di impoverimento non è predestinata ma può essere superata e sconfitta per giungere a livelli di ben essere e di ben vivere accettabili e degni per ogni persona. E allora è stato molto utile sentire la dottoressa Iole Piva che ha studiato la situazione sociale e sanitaria nella zona del Perginese in alcuni decenni dell’800. Situazione caratterizzata da una grave precarietà generale che andava a colpire particolarmente i più piccoli – sempre i più esposti e vulnerabili – e allora malattie come quelle mentali, problemi di ortopedia, difficoltà agli occhi, vari tipi di disabilità non solo risultavano molto diffusi ma al tempo stesso costituivano un grave handicap a qualsiasi tipo di vita normale, crescere degnamente e formarsi poi una famiglia. Era un mix di cause che perpetravano situazioni di estrema precarietà personale: la povertà, la carenza di cibo o un cibo troppo povero dal punto di vista nutrizionale, le guerre, la presenza di zone paludose con il propagarsi di pandemie, il disinteresse verso l’infanzia. Se la donna contravveniva alle regole sociali veniva abbandonata, addirittura tacciata di essere pazza. I figli illegittimi venivano registrati capovolgendo il registro delle nascite, discriminate le ragazze-madri. I “trovatelli” e gli “esposti” considerati persone di serie z condannati alle mansioni di lavoro più basse. C’erano molte nascite, ma non un incremento della popolazione, la falcidia infantile essendo altissima. Esattamente quello che succede oggi in Africa.
C’è una strettissima connessione – è stato ribadito – tra arretratezza sociale e povertà da un lato e il moltiplicarsi delle malattie che già di per sé costituiscono una forma specifica e talvolta endemica di disabilità, psichica e fisica, ambientale e della personalità. Capitava nel nostro Trentino e succede adesso in vaste aree africane. E’ come un macigno che limita l’affermarsi di ogni persona. E colpisce particolarmente le bambine e le donne portandole ad una gravissima forma di esclusione sociale, al diniego di sé, al fatto di considerare se stesse capaci di nulla, mentre in realtà molte volte basterebbe così poco per farle sbocciare in tutta la loro ricchezza interiore come fiori in primavera! I medici del Cuamm in questo dedicano tutto loro stessi nel fare il meglio che possono e spesso con scarsi mezzi riescono a compiere autentici miracoli.
Un loro assillo è il seguente: la medicina nei Paesi impoveriti non deve essere “povera”, si devono, a contrario, mettere in campo tutte le più moderne tecniche per contrastare malattie che facilmente possono essere guarite. Loro ci mettono se stessi, senza riserve e con grande entusiasmo, la loro professionalità e la loro grande umanità. Il presidente dell’Ordine dei medici trentini, dottor Ioppi, ha riconosciuto con un senso di emozione e ringraziamento, questa sorta di “supplemento d’anima” dei medici del Cuamm che in terra trentina sono un bel gruppo affiatato, accanto a infermiere e infermieri e personale “tecnico” (biologi, personale di laboratori, ad esempio).
Il diritto alla vita e il principio universalistico alla salute ha permesso alle genti trentine attraverso una gradualità necessaria di giungere ad avere garantito il diritto alla salute e il nostro Servizio sanitario nazionale – ha compiuto 40 anni nel 2018 – deve considerare tutti uguali, chiunque si presenta ad un medico per essere curato.
In Africa assistere soprattutto le donne e quelle che aspettano un figlio sapendo che la principale causa di morte attiene alla fase prima del parto, al parto e al successivo allattamento e svezzamento. E’ su questo versante che i “Medici con l’Africa” sono particolarmente attenti e impegnati. Chiedono più attenzione. Più cure. Meno diseguaglianze. Tutti – gridano pacatamente – debbono sentirsi coinvolti. Tutti possono dare una mano.
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