Mattia Civico é tra i promotori dei corridoi umanitari. Tre anni fa portò in trentino le prime sette famiglie siriane, facendo approvare (all’epoca sedeva in Consiglio Provinciale) un ordine del giorno che impegnava la giunta ad accogliere le prime famiglie in fuga dalla Siria. Allora ci fu l’impegno diretto della Provincia e della Diocesi di Trento. Da allora ha continuato a frequentare i campi profughi in Libano ed a tenere aperto il corridoio tra il Libano e il Trentino. Lo incontriamo a Tel Abbas in occasione di questo ultimo corridoio umanitario che porterà in Trentino la famiglia Mbarak.Come sono nati e cosa sono i corridoi umanitari? Nascono dall’ostinato e costante impegno di un gruppo di persone che hanno pensato che non era possibile rassegnarsi alle morti in mare e che ci dovesse essere una via più umana e giusta per mettere in sicurezza e protezione le persone in fuga dalla guerra. Dal punto di vista normativo si fondano su un articolo del regolamento visti europeo, l’articolo 25, che dice in sostanza questo: ogni stato europeo, presso le proprie ambasciate estere, può rilasciare visti per motivi umanitari valevoli sul proprio territorio. Abbiano chiesto l’applicazione di questo articolo. Non era mai successo prima, ma non per questo lo abbiamoconsiderato impossibile.Chi sono i promotori dei Corridoi Umanitari?Innanzitutto i firmatari del protocollo con il Ministero degli Esteri e degli interni: Comunità di Sant’Egidio, Tavola Valdese e Federazione delle Chiese Evangeliche. Accanto a queste va menzionata Operazione Colomba, corpo nonviolento di pace dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, che vive da cinque anni in Libano insieme ai profughi siriani. E poi protagonisti sono i territori che accolgono, come la nostra provincia e i suoi abitanti.Ma come funzionano concretamente ?Vengono individuate in Libano i profughi che potranno viaggiare: sono persone particolarmente vulnerabili, famiglie con bambini piccoli, situazioni di precarietà dal punto di vista della salute. Persone che vivono da anni in Libano e che non avrebbero certamente un futuro rimanendo in quella situazione. La domanda di accesso ai corridoi viene vagliata dai sistemi di sicurezza sia in Libano, sia in Italia, per essere certi che si tratti di persone che sono fuggite dal conflitto per non essere uccise e per non uccidere.E poi?Si individuano i territori disponibili all’accoglienza. Le formule sono le più diverse: si tratta spesso di comunità locali che si autofinanziano, gruppi legati alle caritas parrocchiali, a gruppi più o meno organizzati che si impegnano per un tempo di due anni ad accompagnare queste famiglie. Ma anche privati cittadini che mettono a disposizione immobili, tempo, risorse. Abbiamo chiamato questa modalità “modello adottivo”, nel senso che le persone vengono accolte concretamente dalla comunità. Adottate.In Trentino qual é l’esperienza?In questi tre anni abbiamo partecipato a sei corridoi, accogliendo complessivamente 12 nuclei familiari: più di 60 persone. In tutti questi casi abbiamo assistito alla positiva mobilitazione dei trentini che hanno saputo e voluto mettersi in relazione. E siamo testimoni di un legame profondo tra la nostra comunità e le famiglie siriane. Possiamo ben dire di non essere stati a guardare ma di aver contribuito in maniera significativa a scrivere una pagina di concreta speranza.E per lei cosa significa questo impegno?Avere la possibilità di ascoltare e accompagnare queste persone nel loro percorso di ricerca di un futuro possibile é fra le cose più belle che mi siano capitate, perché mi ha messo in contatto con una straordinaria umanità, capace di gesti coraggiosi e di generosità. Tenere viva la speranza nella disperazione più profonda é una qualità preziosa ma in fondo non poi così rara. A saperla vedere e alimentare.
A. go.
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