Visto il calo demografico e il progressivo (inarrestabile?) invecchiamento della società italiana, “senza l’immigrazione la popolazione, soprattutto attiva, è destinata a crollare; l’invecchiamento e la riduzione della popolazione frenano la crescita; l’immigrazione può giocare un ruolo rilevante per recuperare lo sviluppo”.

E’ un passaggio chiave del bel libro Dialogo sull’immigrazione, Tra falsi miti e scomode verità – recita il sottotitolo – di Stefano Proverbio e Roberto Lancellotti (Mondadori). E, in effetti, si tratta proprio di un dialogo tra tre personaggi: Simplicio, che è contrario e solo a sentir la parola, immigrazione, gli viene l’orticaria; Salviati che razionalmente è a favore; e Sagredo, il moderatore. Ne risulta un contraddittorio a suo modo esemplare e didascalico per chiunque voglia comprendere un fenomeno certamente complesso con cui occorre fare i conti e “attrezzarsi” culturalmente. Emergono – chiare come il sole – alcune semplici “verità”. Gli immigrati non tolgono nessun posto di lavoro, certamente competono con la forza-lavoro italiana su posti di lavoro più esecutivi e meno pagati. Gli immigrati contribuiscono in modo rilevante alla crescita del Pil e la nostra quota di immigrati (circa il 10%) è tra le più basse d’Europa. Gli immigrati pagano una parte non secondaria delle nostre pensioni (l’Inps collasserebbe senza i loro contributi) e versano più di quanto prelevano, a differenza, ad esempio, dei baby pensionati che prelevano e ricevono più – molto di più, a volte – di quanto hanno versato! Gli immigrati delinquono più degli italiani, ma solo per la parte di irregolari che rappresentano circa il 10% della presenza straniera complessiva.

Gli autori, che lavorano nell’alveo del colosso della consulenza McKinsey, sommessamente suggeriscono che ogni anno dovrebbero entrare in Italia 200 mila stranieri, il 30% dei quali a media ed alta competenza professionale. Altrimenti per l’azienda Italia il declino sarà inarrestabile. Elementare.