La classe dirigente si è allontanata dalle istanze popolari più elementari. E i giovani sono disillusi
Alla fine, dopo tanto, Jacob Zuma se n’è andato. Ha dovuto andarsene sull’onda di una rabbia popolare che rischiava di travolgere tutto l’African National Congress (Anc), il movimento di liberazione nazionale di Nelson Mandela che si è trasformato – dopo la fine del regime segregazionista razzista bianco – in partito pigliatutto in Sudafrica. Come dire: da segno di speranza e liberazione per moltitudini di neri a partito-Stato che occupa tutti i gangli del potere istituzionale e lo fa nel modo peggiore: allontanandosi sempre di più dai bisogni reali delle persone che si prefigge di rappresentare; dai sogni di una liberazione che non fosse solo di tipo politico ma anche di tipo sociale ed economico; dal mito di Mandela di abnegazione e sacrificio per e con il proprio popolo che vede in lui il suo rappresentante, colui cioè che rappresenta istanze e moti, rivendicazioni e speranze.
Nelson Mandela, tra i migliori statisti al mondo del Novecento, ci era riuscito nel modo migliore, nelle intenzione e nei risultati; Thabo Mbeki, fin troppo compassato e guardingo, pur nella continuità ideale, era riuscito a far emergere solo un pragmatismo troppo ossequioso con la classe dominante dei bianchi che hanno continuato a tenere ben salde le leve del potere reale.
Jacob Zuma, scostante, irascibile e tellurico, se n’è discostato in modo obbrobrioso dopo una serie di scandali che avrebbero dovuto risvegliare ben prima la classe dirigente dell’Anc, addormentata e passiva, allontanata e sovente dimentica delle istanze popolari più elementari. E’ ben vero – come testimoniano alcuni nostri missionari che sono in Sudafrica da tanti anni – che sono state costruite case popolari, ma troppo poche rispetto alle necessità; è ben vero che la disoccupazione è diminuita, ma in numeri insufficienti rispetto ai bisogni di lavoro e di un reddito decente per milioni di neri sfruttati e oppressi.
E’ ben vero che oggi il Sudafrica è un paese che ospita immigrati e rifugiati di tutta l’Africa australe e lo fa in modo lodevole, ma questo ha rischiato in più occasioni di fomentare un guerra tra poveri, disoccupati autoctoni contro i nuovi “invasori” che agli occhi della gente creavano spesso una competizione indecente e non un vivere armonico dividendo quel poco di welfare che il potere nero era riuscito a creare e faticosamente mantenere.
In questo scenario gli scandali perpetrati da Jacob Zuma sono stati devastanti per la stessa credibilità complessiva dell’Anc che ha perso in questi anni il sostegno di tantissimi e la sua stessa credibilità di rappresentanza “credibile”. I giovani, soprattutto, se ne sono andati. Trovando apparente rifugio nel qualunquismo, nelle droghe, nei cunicoli dell’Aids – fermato in qualche modo con medicinali non alla portata di tutti per i costi orrendi, ma non sconfitto – quel mondo giovanile che è nato dopo la fine dell’apartheid è in cerca di nuovi ideali e se non ne vengono proposti si rifugia nei nuovi idoli che sono il successo e il guadagno facile. Solo con questo si spiega una microcriminalità che cresce in modo esponenziale, un’insicurezza che si diffonde come un’epidemia e miete consenso e instabilità nell’animo delle persone prima ancora che nel tessuto sociale e nei suoi mille complessi interstizi.
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