Colombia, è emergenza diritti umani

La testimonianza a Trentino inBlu di Silvia Filippi, volontaria di Operazione Colomba

Venerdì 29 dicembre in Colombia un commando paramilitare ha tentato di uccidere German Posso, leader della Comunità di Pace di San Josè de Apartadò, forse la più famosa tra le oltre 50 Comunità colombiane nate negli anni della guerra civile per resistere con gli strumenti della nonviolenza allo sfollamento forzato. Queste comunità sono ancora più attive ora, dopo gli Accordi di pace siglati nel novembre 2016, nel difendere il territorio dove vivono gruppi paramilitari al soldo spesso di multinazionali che puntano allo sfruttamento indiscriminato del suolo colombiano.

Accanto a queste Comunità ci sono anche i volontari di Operazione Colomba, il Corpo di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, che lo scorso 29 dicembre sono stati testimoni diretti dell'attacco.

Operazione Colomba è presente sul territorio stabilmente con 4 o 5 volontari, di cui un paio di lungo periodo e altri che si alternano. Tra questi, negli ultimi 4 anni, sono stati almeno 7 i giovani trentini che hanno condiviso l’esperienza della nonviolenza in questa terra difficile.

Come Silvia Filippi, che in Colombia è rimasta 3 mesi. Rientrata lo scorso marzo, può testimoniare come la cronaca di questi giorni abbia portato alla ribalta una situazione di pericolo che non è comunque nuova. “Tutt’altro – conferma ai microfoni di radio Trentino inBlu – possiamo dire che dura ormai da vent’anni, cioè da quando è nata la Comunità di Pace di San Josè de Apartadò. E’ sempre stata sotto pressione da parte dell’esercito, delle Farc e dei paramilitari. Era nata come risposta non violenta ad una situazione di conflitto che in Colombia prosegue da 50 anni. E dopo gli accordi di pace c’è stato un exploit di omicidi e di minacce verso i difensori dei diritti umani”.

Per assurdo, la loro situazione è peggiorata?

“Non voglio dire che non abbia portato benefici essere riusciti a raggiungere un accordo di pace. E’ indubbiamente un passo positivo. Ma non possiamo ignorare ciò che sta succedendo: il numero di contadini che stanno difendendo le proprie terre è aumentato e gli omicidi sono personali, mirati. Puntano ai leader delle diverse comunità e i consiglieri di quella di San Josè sono costantemente minacciati di morte perché si trovano in una posizione geografica di fortissimo interesse. Vivono in un territorio prima occupato dalle Farc e dalle piantagioni di coca: qui si sono costituiti i gruppi criminali non organizzati, chiamati neo paramilitari. E poi è una zona estremamente fertile e preziosa per la risorsa del carbone, quindi oggetto di interesse delle grandi multinazionali. E’ importante mantenere alta l’attenzione su ciò che sta succedendo anche perché l’Europa si è fatta garante dell’applicazione degli accordi di pace, ma questo non sta avvenendo. Non possiamo girarci dall’altra parte”.

Perché si parla di un attentato “annunciato”?

“Perché ci si aspetta qualcosa – conclude Silvia -, si vive sapendo che ogni giorno può succedere. Il contatto con corpi armati è quotidiano, abbastanza normale. Nell’ultimo periodo in cui sono stata lì gruppi armati continuavano a passare in ogni zona della Comunità, anche in quelle più in vista, non solo quelle più nascoste. Che questi leader siano sotto minaccia è una realtà ed una costante: non c’è mai stato un momento in cui non lo siano stati. Ma non si era ancora arrivati, nell’ultimo periodo, ad un gesto così eclatante, ad un attentato di questa portata”.

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