Laura è una giovane donna di Preore, frazione di Tre Ville (Val Giudicarie) che da alcuni anni opera come volontaria nelle carceri messicane. Ha un sorriso aperto, raggiante. Le sue riflessioni sono colme di entusiasmo pur non sottovalutando le difficoltà che incontra nel suo “lavoro”. E’ una bella storia questa che raccontiamo dove la gioia di vivere e vivere con e per gli altri sopravanza le contraddizioni che inevitabilmente si incontrano. Tutto era cominciato nel 2003 quando Laura Scalfi era partita con un’amica per un giro in Messico. Doveva esser un tour di tre mesi ed è durato un anno e mezzo. Se la ride soddisfatta mentre racconta, come a dire che certe volte la vita riserva sorprese impensabili.
Tra le tantissime persone incontrate c’è Lalo col quale si tiene in contatto al suo rientro in Italia. Ad un certo punto viene a sapere che Lalo è in carcere. E così Laura che è educatrice professionale col suo lavoro all’Anffas all’inizio del 2008 decide di tornare in Messico a trovare il suo amico. “E lì la mia vita ha preso una piega che non avrei detto, è cambiata”. Laura non rimane indifferente alla realtà che incontra in carcere. Nasce piano piano un innamoramento: per il carcere, per le persone incontrate, per quell’universo concentrazionario dove angoscia e solitudine sembrano prevalere e invece incontri anche persone in carne e ossa con le loro piccole speranze, la voglia di ricominciare tra mille inquietudini.
Dal 2009 “Laurita” vive a Coatzacoalcos, nello stato di Veracruz che si affaccia sul golfo del Messico. Lalo, nel frattempo, dopo varie peripezie, è stato liberato e se ne è andato in giro per il mondo. “Ma io avevo capito che il mio posto era lì”. Comincia col dare lezioni di yoga alle carcerate al Cereso (Centro di reinserimento sociale): vi sono rinchiusi circa 1900 detenuti, tra cui un centinaio di donne. “Yoga vuol dire rilassamento del corpo e dello spirito – osserva Laura -, cercare la calma interiore con la meditazione. Diventa un’abilità nei confronti dei propri impulsi, quindi abbassa i livelli di violenza”. Per questo piccolo vulcano di iniziative solidali significa anche creare “empatia, la capacità di vedere la sofferenza dell’altro”. Nel carcere c’è di tutto: dal piccolo truffatore, al narcotrafficante, dall’omicida a chi ha sequestrato qualcuno. “Grazie al Cielo mi danno la possibilità di entrare tutti i giorni!”, dice Laura. Deve avere ben presente quello spunto delle Beatitudini: ero prigioniero e mi avete visitato… In carcere il lavoro non manca di sicuro: “Faccio assistenza agli ammalati, seguo le donne in gravidanza e quelle che hanno dei bambini”. Ha anche in mente di sviluppare qualche progetto per collegare il carcere alla realtà di fuori. Grazie a qualche preziosa donazione dall’Italia le donne in restrizione possono confezionare berretti e sciarpette per le bambine e i bambini ammalati di tumore che vengono in città per la chemio; così si sentono utili, i bambini sentono un calore attorno, sentono che qualcuno pensa a loro: tutto aiuta a tenere su il morale, a non lasciarsi andare.
A chi le chiede perché è andata a finire proprio lì, Laura risponde che la vita porta ovunque, basta che ci sia cuore; non importa dove si vive, l’importante sono altre cose: il contatto con le persone, il bisogno di amare e di essere amati, dare un senso a quello che si fa nel segno dell’amicizia e dell’amore. “Chi arriva in carcere è deprivato di tutto, della sua dignità, sottoposto a pressioni fortissime. All’interno del carcere ci sono persone con storie di vita da scoprire, ascoltare, possibilmente comprendere e provare a guarire”.
“Portare un sorriso sincero, un messaggio di speranza, un abbraccio, il fatto di condividere qualche ora della giornata con questa gente vuol dire che non ci si è dimenticati di loro, che le loro vite valgono anche se sembrano essere perdute, può essere un motivo per continuare a lottare, non arrendersi, ricreare la speranza magari da un mare di disperazione”. I miracoli succedono. Laura ci crede. Ne è testimone. Li vede accadere.
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