La Cambogia salvata dai topolini

Sono 4 milioni gli ordigni disseminati dai khmer rossi. E colpiscono ancora a distanza di anni

Salivano silenziosi e veloci su enormi pullman fino ad Ancona o a Livorno. Cominciava un lungo viaggio verso Trento, tappa intermedia, destinazione il nord, Austria, Germania, Scandinavia. Dopo che avevano solcato mari e oceani in un lungo, insicuro, incerto peregrinare su imbarcazioni di fortuna.

Venivano chiamati, allora, “boat people”, gente delle barche, persone che scappavano dal Vietnam e pure dalla Cambogia per fuggire alla nuova dittatura comunista – quella rappresentata da Pol Pot, dai khmer rossi e dai vietcong vietnamiti -, guerriglie che avevano messo sotto scatto l’imperialismo occidentale e che si stavano trasformando nei nuovi oppressori. Gli anni erano quelli del 1975, 1976, anni di fervide speranze andate presto deluse.

Ricordo bene quella gente silenziosa, stanca, stremata. Il loro futuro era un’incognita, incerto e insicuro come lo era stato il lungo viaggio in mare. Si scambiava qualche parola in francese, ma erano (giustamente) diffidenti, di poche parole, stremati dal viaggio. Molti di loro si sarebbero ricostruiti una vita nel Nord Europa, alcuni negli Stati Uniti.

In quello stesso tempo e negli anni immediatamente successivi, Pol Pot condannava a morte qualche milione di persone – contadini innocenti, bambini… Teschi e scheletri popoleranno in tempi immediatamente successivi le campagne cambogiane in un macabro, itinerante, diffuso spettacolo di morte. Qualcosa di analogo – forse con minore veemenza cruenta – succederà in Vietnam.

In questi giorni fanno notizia “i topi eroi che salvano la Cambogia dall’incubo mine” che sono disseminate ovunque, nelle risaie e nei campi, nella foresta e negli anfratti delle città. Basta un passo, un gesto, un’indecisione e uno si ritrova senza una gamba o un braccio.

Tanti anni fa (all’inizio degli anni ’80) un’infermiera del Tesino (di nome Eva, aveva lavorato al manicomio di Pergine) mi raccontava di come non fosse facile lenire le ferite, negli improvvisati campi-ospedale delle zone rurali cambogiane. E ancor più come fosse arduo, al limite del temerario, tentare – come lei, con passione e dedizione ogni giorno, faceva – di porre un qualche rimedio alle devastazioni dell’animo di chi aveva visto massacrare familiari e parenti, amici e conoscenti.

Li chiamano HeroRats, super eroi, osannati e onorati. E giustamente, perché questi piccoli roditori salvano tantissime vite umane. Quello che una normale, equipaggiata e preparata equipe di esperti antimine farebbe in almeno una settimana di lavoro, i topi lo fanno in pochi minuti. Undici minuti (hanno cronometrato l’operazione) per localizzare i terribili ordigni. Questi odiati animaletti –grandi poco più dei topolini di campagna e meno vistosi delle pantegane di città -, facendosi beffa del metallo, rilevano con il loro olfatto il solo micidiale esplosivo. Salvando tante vite.

La Cambogia è oggi in via di rapidissima trasformazione. Una crescita economica a due cifre, attrazione di turisti da ogni dove, finalmente la pace dopo anni terribili e devastanti. Si spera che non si tratti solo di capitalismo arrembante, pure se i segnali ci sono tutti.

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