Kouvé (Togo), maggio – Avrebbe voluto partire missionaria per il Brasile, ma due anni dopo la pronuncia dei voti, tra cui quello dell’obbedienza, le fu offerta la prospettiva di partire per l’Africa. Era il 1973, 45 anni fa.
Dores (Luciana) Villotti (1949), suora della Provvidenza (di San Luigi Scrosoppi) partì per l’Africa con l’incarico di fondare una prima comunità religiosa in Costa d’Avorio. Erano in tre, partite con la diocesi di Gorizia (Fidei Donum, come aveva suggerito il concilio Vaticano II) assieme a due laici.
Alla periferia di Abidjan, ad Anonkoua Kouté, le suore avviarono un centro sanitario che fu devastato, assieme all’abitazione delle religiose, nel corso della guerra civile che ha sconvolto il Paese dal 2002 al 2011. Oggi la maternità e i vari reparti di questo centro sanitario, cui fa riferimento una popolazione di almeno 40 mila persone, sono stati rimessi in funzione. Vi hanno concorso, negli anni, anche il volontariato trentino: dalla Provincia autonoma di Trento (assessora Lia Giovanazzi Beltrami) all’associazione “Casa Accoglienza alla vita Padre Angelo”, “Solidarmondo” di Riva del Garda e “Stella Bianca” della Val di Cembra.
Quando suor Dores era in Costa d’Avorio (ma il suo interessamento è proseguito anche dopo, essendo stata eletta Superiora Provinciale delle suore per Togo, Benin, Costa d’Avorio e Sudafrica), è stato aperta una struttura sanitaria a Konguanou, nel centro del Paese. L’ospedale, nel quale sono curati oltre cinquanta giovani e donne colpiti dalle ulcere del Buruli (che devastano e mutilano i corpi), dista circa 30 chilometri da Yamoussoukrò, la capitale politica della Costa d’Avorio. Qui le suore della Provvidenza hanno avviato una scuola professionale multipla: sarte, parrucchiere, computer, confezioni di vario genere.
Nel settembre del 1985, suor Dores è approdata in Togo, a Kouvé. Altro impegno, altra impresa che pareva impossibile: dar vita a scuola, ospedale con ammesso uno specifico centro sanitario dedicato ai malati di HIV e AIDS. Erano gli anni in cui l’infezione causava un’altissima mortalità, anche fra i bambini ai quali il virus era trasmesso dalla madre fin dalla gestazione. “Il centro di cura dell’AIDS, intitolato a P. Luigi Scrosoppi – racconta – fu avviato dopo la canonizzazione del nostro fondatore (fu proclamato santo da papa Giovanni Paolo II nel 2001). L’episodio che gli ha aperto la strada per gli altari, infatti, fu la guarigione di un giovane africano malato di AIDS. Da qui la struttura aperta nel 2003 e dalla quale sono passate in quindici anni almeno cinquemila persone. Oggi i malati da HIV che noi seguiamo regolarmente sono 1.800. Ogni giorno, una sessantina di loro passa al dispensario per le visite, i controlli, gli esami di laboratorio, la distribuzione delle medicine senza le quali potrebbero passare da HIV all’AIDS”.
Le suore italiane (tre) stanno cedendo l’intera gestione alle consorelle africane.
“Lo stiamo facendo finché siamo in grado di seguirle da vicino, ma vedo che il passaggio di testimone sta procedendo molto bene”, confessa suor Dores.
Responsabile del centro di cura dell’AIDS è suor Florence, 45 anni. Suor Pierette, 60 anni, è la direttrice di tutto il comparto sanitario. Oltre alle medicine e alle cure, le suore africane praticano un’assistenza sociale su tutto il territorio circostante, dove vive una popolazione di circa 40 mila persone. Ci sono 280 bambini, orfani dell’AIDS, che devono essere seguiti e aiutati: con la scuola, con il cibo, con l’affetto.
Racconta suor Florence: “Si va a fare le visite periodiche nei villaggi. C’è chi non prende le medicine perché non ha da mangiare e dice che senza mangiare le medicine rendono fiacchi. Allora dobbiamo fare opera di convincimento che senza le medicine oltre a diventare fiacchi si diventa cadaveri”.
Oltre all’HIV, in ospedale si curano i malati di TBC. In tutto il centro ospedaliero operano tre medici (uno pagato dal fondo mondiale, due dalle suore). Il personale è di 65 unità.
In questo sono di supporto le donazioni e le “adozioni a distanza”. Soltanto dalla Val di Cembra e da Segonzano, l’associazione di volontariato “Stella Bianca”, assicura un intervento annuale per trecento bambini. Con quel denaro è garantita la scuola, ogni bambino ha la propria divisa, a mezzogiorno c’è la refezione scolastica; le famiglie più povere sono aiutate. I risultati sono tangibili. Così come costituiscono un fiore all’occhiello, tra i fiori colorati del Togo, i fabbricati costruiti dai volontari della “Stella Bianca” in vent’anni di collaborazione.
Che cosa vi manca, adesso?
“Le risorse umane, tanto per cominciare. Molte suore giovani sono a studiare. Siamo rimaste in poche, ma è una gioia vedere che l’opera da noi cominciata viene portata avanti, oggi, e con successo, dalle nuove suore africane”.
Ogni lunedì mattina, dalle suore della Provvidenza, a Kouvé, bussano gli handicappati, i malati mentali, i disabili. Arrivano per ricevere un sacchetto di riso, che dovrà bastare per una settimana. Per chi non ce la fa a raggiungere la casa delle suore, provvede una sorta di staffetta della solidarietà. Passa di capanna in capanna a verificare lo stato di denutrizione. E provvede a rifocillare bambini e anziani con farine speciali: un mix di soia, mais, arachidi.
Osserva suor Dores: “Qui non ci sono strutture sociali di presa in carico del malato. Ogni giorno ci troviamo di fronte a casi in cui la gente non può pagare le cure. Lo possiamo fare noi grazie alla solidarietà dei piccoli gesti. Ogni giorno sperimentiamo in maniera forte la Provvidenza”.
Che ha diramazioni anche in Trentino e in tutta la Val di Cembra.
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