Spettacolo un poco sconfortante quello di una politica continuamente alle prese con il pasticcio della sua teatralizzazione. È emblematica da questo punto di vista la vicenda scoppiata per la improvvida decisione del ministro Piantedosi di avviare una procedura per verificare l’eventuale scioglimento del Consiglio comunale di Bari per infiltrazioni mafiose.
La vicenda nei suoi esordi è nota e ci limitiamo a sottolinearne gli aspetti che mostrano una scarsa attenzione al rigore delle iniziative da parte di chi rappresenta lo stato.
Non possiamo credere che il ministro Piantedosi, che prima di darsi alla politica è stato un alto funzionario dello Stato, abbia sottovalutato la delicatezza di quanto si accingeva a compiere: non si avvia a cuor leggero una inchiesta tanto pesante su un comune importante, retto da un sindaco stimato che è anche presidente dell’ANCI, il quale per di più è in corsa per una candidatura alle europee e pertanto lascerà la sua carica con ricorso alle elezioni comunali nei prossimi mesi.
Il fatto poi che questa iniziativa sia partita sotto la spinta di uomini politici baresi dell’attuale maggioranza doveva rendere ancora più prudenti.
Così non è stato, ma il contraccolpo per il governo e la sua maggioranza non è stato certo favorevole, perché l’opinione pubblica si è sostanzialmente stretta intorno al sindaco Antonio Decaro. A indebolirlo è intervenuto il governatore della Puglia Emiliano, che, temiamo per incapacità di contenere la sua voglia di palcoscenico, si è lanciato a celebrare sé stesso come colui che aveva protetto il giovane Decaro grazie alla sua capacità, da bravo “sceriffo”, di trattare anche con i cattivi mettendoli al loro posto e spiegando che non dovevano illudersi di potersi mettere di traverso.
Come si poteva prevedere non è con questi teatrini che si costruisce un quadro politico accettabile, specie tenendo conto di un’opinione pubblica per metà lontana dal dare fiducia alla politica.
Del resto, a concorrere alle perplessità sulla tenuta del sistema arrivano gli sviluppi del caso della ministra Santanché, già di suo personaggio politico piuttosto controverso vista la tortuosità dei suoi percorsi passati. Adesso si aggiunge la intricata storia di comportamenti a dir poco discutibili nella gestione di attività economiche in cui è coinvolta, con la possibilità che venga anche accusata di truffa ai danni dell’INPS.
Di nuovo un quadro non proprio commendevole quanto a presenza pubblica di una persona che è titolare di funzioni di governo. L’esasperazione della lotta politica impedisce in questo caso che la premier assuma la decisione che dovrebbe essere normale in questi casi: chiedere le dimissioni al suo ministro in attesa che, come suol dirsi, la giustizia faccia il suo corso. Del resto, al di là di quanto stabilirà la magistratura (che purtroppo ha tempi biblici, per cui non risolve nulla), c’è sempre un problema di opportunità per cui chi svolge un ruolo apicale, specie ai vertici del sistema politico, deve poter sempre esibire una forte credibilità. Stiamo parlando di quella che era, e per fortuna in tanti contesti è ancora, una regola indiscussa del fare politica: l’uomo pubblico ha più doveri di credibilità e di affidabilità di quelli che si possono chiedere ad un normale cittadino.
La politica sembra rendersi sempre meno conto di queste necessità. È ben vero che nel clima attuale di uso spregiudicato di tutti i tipi di gogna mediatica crescono continuamente i ricorsi alla costruzione di macchine del fango. La vicenda, che rimane oscura sebbene sia calata l’attenzione mediatica su di essa, degli accessi abusivi alle banche dati operati nell’ambito della procura nazionale antimafia accende un faro su un imbarbarimento della lotta politica che peraltro era stato intuito da tempo.
In un clima del genere, diventa molto delicato andare ad un passaggio assai complesso come stanno diventando le prossime elezioni europee con il contorno di una tornata importante di amministrative.
Dai risultati di quelle urne ci si attendono indicazioni su come evolverà il nostro sistema politico e davvero non sarebbe sano che esse fossero condizionate dal sommarsi di intrighi e furberie di basso profilo con una astensione molto alta indotta dal rifiuto del modo di fare politica che sembra imperare.
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