“Lo scopo: raccontare la cooperazione internazionale in modo diverso. C’è tempo fino al 15 maggio
Raccontare la cooperazione internazionale stravolgendone le modalità: ecco come hanno deciso di muoversi tre associazioni trentine. ATB (Associazione Trentino con i Balcani Onlus), CAM (Consorzio Associazioni con il Mozambico Onlus), e GTV (Gruppo Trentino di Volontariato Onlus) prima hanno raccolto nei territori in cui operano 60 storie (www.60storie.com). Poi ne hanno fatto una piece teatrale, “I’m not a tourist”. Oggi un concorso per disegnatori: fino al 15 maggio sarà possibile inviare un racconto composto da 4 tavole a fumetti; oppure una sola tavola se si decide di partecipare con un’illustrazione. I racconti possono essere ispirati alle 60 storie; si può partecipare con più di un’opera, fino ad un massimo di 3 ma solo se provenienti da 3 territori. I vincitori riceveranno tre buoni viaggio per visitare i luoghi narrati.
La scelta di raccontare le periferie del mondo evitando la trappola degli stereotipi è interessante e controtendenza. Basti pensare alle campagne di raccolta fondi delle grandi organizzazioni, dove le immagini di bambini malnutriti, con lo stomaco gonfio e le mosche negli occhi sono la regola. Servono ad impietosire chi guarda e convincerlo a realizzare una donazione – ma non incoraggiano ad una riflessione approfondita. Rafforzano degli stereotipi che ci influenzano nella relazione con l’altro, relazione che ormai non si sviluppa solo all’estero. Tanto che lo scorso novembre la Rete della Diaspora Africana Nera in Italia (Redani) ha lanciato una campagna dal titolo “Anche le immagini uccidono” (www.ancheleimmaginiuccidono.org), chiedendo rispetto per i loro bambini ed un codice etico nell’utilizzo delle immagini. La discussione è ancora accesa: il fine (la raccolta fondi per le grandi organizzazioni) giustifica i mezzi (l’utilizzo di questo tipo di immagini)? O, come riportato da “Redattore Sociale”, si tratta di spettacolarizzazione e pornografia del dolore?
In mezzo a questo dibattito ecco il nuovo modo di narrare scelto da ATB, CAM, e GTV. Francesca Anzi, coordinatrice del progetto e referente per GTV, riporta: “Il tutto è nato un po’ per ridere, però ripensandoci abbiamo capito che una storia a fumetti può creare quell’immedesimazione del personaggio utile per avvicinare le persone a culture e concetti lontani. Una delle ipotesi di partenza è la paura dell’altro e dell’altrove che ci sembra di vivere sempre più. Pensiamo all’emergenza migranti, al discorso sul degrado cittadino. Sempre più urgente diventa quindi affrontare queste tematiche offrendo strumenti per de-costruire stereotipi e favorire una cultura di pace”.
Sulla stessa linea Paola Filippi (ATB), ponendo l’accento sui risvolti che la comunicazione stereotipata può avere anche nel nostro piccolo: “Viviamo un tempo faticoso e complesso, pieno di insidie, di spinte a un ritorno a un passato costruito su muri e pieno di paure. Da qualche anno, con l’aumento dei flussi migratori, si sta registrando un aumento della paura e diffidenza nei confronti dei migranti, che spesso sono stigmatizzati come portatori di degrado, violenza e insicurezza. È fondamentale offrire spunti di riflessione per contribuire a creare una società più includente”.
A loro si unisce Maddalena Parolin (CAM): “Il progetto 60 storie cerca di raccontare il Mozambico e la cooperazione trentina in Mozambico in un modo diverso dalle narrazioni prevalenti, evitando sia gli stereotipi che descrivono il paese solo in riferimento ad aspetti negativi (povertà, HIV, inondazioni o siccità) o turistico imprenditoriali (alto tasso di crescita del PIL, resort sull’oceano) che le classiche narrazioni di descrizione dei progetti di cooperazione. Il Mozambico, i progetti, la cultura, vengono presentati in maniera naturale, come quando si fa amicizia con una persona straniera”.
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