L'archeologo Dario Di Blasi e la distruzione dei siti antichi in Siria e in Iraq: “Oltre a Palmira, compromessi siti rilevanti per la storia del cristianesimo”
“Qual è la differenza tra chi distrugge i monumenti e chi non muove un dito per impedirlo? Quali strumenti abbiamo noi – inteso come governi – per impedire questa grande ipocrisia, dove da un lato si denuncia quanto avviene e dall'altro se ne approfitta a man bassa?”. Se lo chiede Dario Di Blasi, curatore della Rassegna internazionale del Cinema archeologico, in programma a breve (ne accenniamo a parte), e conservatore onorario presso la Fondazione Museo civico di Rovereto. Lo abbiamo interpellato dopo la diffusione a livello mondiale delle immagini delle distruzioni operate dai fanatici dell'Isis nell'antica città di Palmira, in Siria.
“Su Palmira c'è stato molto clamore perché è una delle zone più conosciute, ma sono diversi i luoghi di maggior importanza e rilevanti anche per la storia del cristianesimo ad essere stati eliminati dai fondamentalisti dell'Islam”, spiega Di Blasi. Poi allarga il ragionamento, nella convinzione che i danni ai reperti storico-archeologici non costituiscono comunque il “principale problema”, che sta piuttosto “nel massacro e nella fuga di milioni di persone disperate”. Per De Blasi per risolvere l’una e l’altra tragedia occorrerebbe “interrompere il commercio delle armi”, contro il quale si è più volte espresso Papa Francesco. “L'Occidente alimenta diverse guerre in Medio Oriente e in Libia, appoggiando di volta in volta forze ribelli contro il tiranno di turno, ritirando i propri contingenti e lasciando sul terreno cannoni, missili e armi varie, a cui si aggiunge la vendita diretta”. In tali contesti – dove tutte le potenze, anche quelle orientali, cercano i propri interessi – “la vendita sul mercato nero di reperti archeologici è certamente un settore assai lucroso e appetibile”. L'aspetto religioso, Di Blasi ne è convinto, incide poco: “Questi conflitti sono causati da motivi economici, di mancanza di libertà e di diritti”.
“Perché – si interroga – hanno decapitato l'archeologo siriano Khaled Assad?”. Non certo, secondo Di Blasi, per motivi di iconoclastia, ma “perché il capo delle antichità di Palmira si rifiutava di rivelare il posto dove le autorità avevano nascosto reperti archeologici di valore”. “I grandi musei acquistano senza problemi oggetti che sanno essere stati rubati – prosegue – e, se non sono loro, ci sono i collezionisti privati, che magari prestano le proprie opere ai musei, per cui i musei hanno la coscienza a posto perché le opere sono solo prese in comodato”. “Ma gli oggetti rimossi dai territori – aggiunge – perdono la loro identità”.
Percorrendo il deserto, dopo Palmira, lungo il corso dell’Eufrate si arriva al confine con l'Iraq, dove sorgevano antiche città sumere e romane, come Dura Europos. E in queste zone occupate dall'Isis ci sono anche i primissimi insediamenti cristiani dei monasteri: “Che fine hanno fatto?”, conclude Di Blasi.
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