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Il conflitto colombiano è una di quelle guerre dove non si riesce a distinguere il “bene” dal “male” – ammesso che possa esistere un “bene” in una guerra. Bisogna partire da uno dei pochi fatti certi: anche per via della conformazione geografica del territorio lo Stato è poco presente. Il Paese è andino e amazzonico, con una costa nei Caraibi ed una sul Pacifico. Ha una superficie che è quattro volte quella italiana, ma una popolazione di soli 46 milioni (censimento 2012). Le infrastrutture non sono sviluppate, e questo rende complicate le interazioni regionali e nazionali.
In questo contesto, negli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso sono nati alcuni eserciti guerriglieri. Inizialmente contestavano le ingiustizie strutturali del sistema oligarchico dei grandi latifondi e lottavano per eliminarle. Nello stesso periodo nascevano gruppi paramilitari (legali grazie alla legge 48/1964); questi comprendevano sia chi realizzava azioni di difesa contro la guerriglia, che gruppi di sicari al servizio dei cartelli della droga che stavano nascendo per poi rafforzarsi nel decennio successivo (Medellin e Cali in testa). Ai gruppi legali iniziarono ad unirsi quelli illegali; negli anni ‘90 confluirono in un unico movimento, smantellato in negoziati con lo Stato nella seconda metà degli anni 2000. Ma gli ex paramilitari si sono riciclati nelle Bacrim (Bandas Criminales), tutt’ora attive, il cui obiettivo è conquistare terre per il commerciodella droga.
In questo contesto la Colombia cerca la pace: non avendo interlocutori nei Bacrim, intanto ci prova con le Farc, il gruppo guerrigliero tutt’ora attivo. Il secondo semestre dello scorso anno ha visto la realizzazione di colloqui di pace; per la prima volta ha partecipato anche una rappresentanza di 12 vittime di guerra. Secondo il rapporto annuale di Amnesty International 2014/15, “i colloqui di pace tenutisi a Cuba tragoverno colombiano e Forze armate rivoluzionarie della Colombia hanno fatto progressi. I negoziati hanno rappresentato la migliore pportunità in oltre un decennio per porre definitivamente fine al più lungo conflitto armato interno mai conosciuto nella regione. Ma tutte le parti hanno continuato a commettere violazioni dei diritti umani ed abusi del diritto internazionale umanitario”.Gli sfollati interni sono un altro grande tema: in Colombia se ne contano quasi 6 milioni (fonte: Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, 2015). Si stima che circa 8 milioni di ettari di terra siano stati sottratti illegalmente ai legittimi proprietari, ricorda Amnesty International: più o meno un territorio esteso quanto l’Austria. Nel 2011 il presidente Juan Manuel Santos ha firmato una Legge sulla restituzione delle terre. Nonostante il vincolo temporale dei 10 anni per sanare le ingiustizie, nella pratica le restituzioni sono ancora poche: e quelle avvenute non hanno visto il ritorno dei legittimi proprietari per via degli evidenti pericoli. Chi è fuggito a causa del conflitto come può tornare a casa se gli invasori sono ancora là?In tutto questo c’è chi dallo sfollamento ha creato un mondo a parte: una comunità di pace. Si tratta della Comunidad de Paz San José de Apartadó, nata come organizzazione informale della società civile nel 1997. I suoi membri si impegnano a non partecipare alla guerra in nessun modo e a denunciare pubblicamente le violazioni dei diritti umani commesse da qualsiasi gruppo armato. Si tratta di una comunità autogestita che non si schiera con nessuna delle parti in conflitto. Vista la sua polarizzazione, questo purtroppo vuol dire inimicarsi tutte le parti; infatti per la Comunità le minacce sono all’ordine del giorno. Il rappresentante legale della Comunità, German Graciano, ha testimoniato ai colloqui di pace di Cuba; a causa del conflitto la sua famiglia ha subito un totale di tredici lutti.
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