Tutti per uno

Un’esperienza di volontariato a San Paolo del Brasile con Apibimi. Ce la racconta Elisa, 23enne di Arco

Tornare. Ritornare in Brasile. E’ durata qualche settimana la permanenza brasiliana di Elisa, l’estate dello scorso anno, ma è stata talmente densa di incontri e intensa di emozioni che adesso la sua aspirazione è quella di rifarla, quest’esperienza di volontariato. Non è frenesia, ma una volontà che attinge nel profondo dell’animo. E intanto Elisa si dà da fare, si attiva, coinvolge altre persone, in questo senso è davvero contagiosa nel suo entusiasmo.

Tutto è nato con Apibimi, l’ormai “storica” associazione sorta a Volano, che si interessa dell’educazione e del riscatto dell’infanzia impoverita.

E’ a San Paolo che questa giovane donna di Arco, 23 anni, un lavoro come educatrice d’infanzia, s’è cimentata e non senza le iniziali inconcludenze. Un Centro educativo frequentato da circa 400 bambine e bambini, ragazze e ragazzi, in una delle favelas della metropoli brasiliana, Heliopolis, la più estesa e popolata dopo quella di Rio de Janeiro. Il Centro è aperto dal mattino fino al pomeriggio inoltrato e la frequenza dei minori si divide in due parti per questione di spazi e di personale educativo a disposizione.

Elisa, che in Brasile è andata da sola, affianca le maestre e le educatrici in un lavoro educativo irto di difficoltà. La favela è un mondo particolare. Il pericolo può essere ovunque se è la povertà e in taluni casi anche l’indigenza a dominare. La polizia non entra, in favela. E’ un segmento di vita associata che si dà le sue regole – migliaia di persone stipate all’inverosimile in spazi ristretti – e in qualche modo si autoregolamenta. Anche la favela conosce le sue disparità. C’è quella più “bella” e vivibile con le casette in muratura e poi quella formata da baracche in legno e lamiere con i rigagnoli degli scoli a cielo aperto. Pullula di un’economia informale con negozietti di parrucchieri, rudimentali palestre e mercatini del cibo in vendita ovunque.

Ma Elisa, vivendoci, non ha l’impressione del caos. Sono bambini, quelli che frequentano il Centro educativo, che provengono dalle più disparate situazioni. Il concetto di famiglia tradizionale in quei paraggi è andato in frantumi già da tempo. Però i genitori, quando ci sono, si interessano, eccome, dei loro bambini. Elisa ravvisa una vicinanza di fondo che lega le persone al di là della provenienza e della condizione. Una mamma che si fa carico di un bambino rimasto solo. Una famiglia allargata per la quale non c’è problema ad interessarsi di una situazione complicata, per quel poco che si può dare. Tanti bambini e adolescenti dai 5 ai 17 anni sono rimasti senza genitori e allora è giocoforza che il cerchio si allarghi, qualcuno li consideri come suoi; i confini parentali sono molto labili e al contempo rivelano inaspettate vicinanze, gesti di gratuità assoluta da cui tutti avremmo molto da imparare: contatto umano, slanci del cuore, aiuto concreto e quotidiano.

Per un lavoro educativo che sia efficiente e dispieghi la sua efficacia si formano gruppi di 20/25 ragazzini, al mattino si fa colazione tutti assieme e poi ci si avvia ai compiti e alle attività proposte.

Il Centro è finanziato da Apibimi in collaborazione con la municipalità di San Paolo, la cui amministrazione si fa carico di una parte delle spese. E’ un modello di compartecipazione per cui l’ente pubblico locale riconosce che da solo non ce la fa e però ci tiene a ribadire che ha le sue responsabilità nei confronti dei suoi censiti e abitanti. In questo i volontari di Apibimi svolgono un lavoro molto bello. Eccellente. Non è mera assistenza, si cerca sempre un coinvolgimento della gente del posto, un partenariato con le autorità; ma diventano responsabili pure i soggetti direttamente interessati all’intervento di solidarietà.

Le educatrici del Centro – ci tiene a sottolineare Elisa – sono tutte del posto, sono stipendiate regolarmente dal Comune e vi hanno avuto accesso, esibendo tanto di curriculum, tramite un’accurata selezione dopo aver frequentato i corsi di studio richiesti.

I brasiliani sono orgogliosi, ci tengono molto alla loro cultura, con gli altri hanno il cuore grande. Ti invitano a casa loro – osserva Elisa – e anche se non hanno niente ti danno quel poco di cui dispongono spartendolo con te.

“E’ stato un problema quando ho dovuto andarmene! C’è poco da fare – dice -, il cuore lo lasci lì! I bambini si sono attivati per fare quadernetti con fogli colorati, disegni…”. Un modo molto bello e spontaneo per manifestare l’affetto. E anche per dire di non essere dimenticati.

“Parla di noi nei posti dove ritorni, devi dire che esistiamo, che anche noi siamo bambini come tutti gli altri bambini del mondo!”. E’ il messaggio carico di speranza che Elisa si è portata con sé. Ecco perché ne parla con tanto entusiasmo, ha gli occhi che brillano quando rivede i loro volti, uno ad uno. Ha organizzato una cena solidale ad Arco, menu a base di arroz, feijao, churrasco, ovvero: riso, fagioli e carne alla griglia… Hanno partecipato oltre un centinaio di persone. E, nelle sue intenzioni, non è che l’inizio.

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