Questa è la “mia Africa”. Il Burundi che mi attrae, che mi riempie di gioia e di tristezza, di entusiasmo e di frustrazione per non riuscire a fare di più.
Quando vedo malati poverissimi che per pagarsi la visita (25 centesimi di euro) portano una fascina di legna o si offrono di zappare la terra, mi si stringe il cuore: che cosa ci ha fatto meritare di nascere in occidente, quale è la colpa di questi poveri per meritare una vita di stenti, miseria, sofferenze?
Nel villaggio dei batwa (pigmei del Burundi) dove porto degli alimenti (sono i più poveri ed emarginati, ai margini della società) cantano e ballano, fischiano e battono tamburi per tutto il tempo che si è disposti ad assistere alle loro esibizioni. Questo per ringraziare, ridono, gridano e si dividono con molta attenzione gli alimenti che arrivano. La suora che mi accompagna mi chiede di portare la birra di sorgo dicendo che è nella loro cultura e io, sistematicamente, rispondo di no. Non mi importa della loro cultura su questo argomento: l’alcol è la piaga di questo paese!
Mi piace una frase del Dalai Lama: se pensi di essere troppo piccolo per fare la differenza, prova a dormire con una zanzara!
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