Nelle zone dell'Alto Atlante il lavoro diventa una via di emancipazione e di riscatto per le donne
Cooperative di donne che lavorano nei boschi, nei campi e nei laboratori per la produzione dell’olio d’argan; libere associazioni di pescatori che vendono direttamente il pesce nei piccoli mercati del porto, lavoratori del mare poverissimi che spartiscono quel ricavo che è costato una notte insonne al largo dell’oceano. Non ti aspetteresti tanta vitalità “democratica” in un paese con una struttura monarchica e dove senz’altro si avvertono carenze non indifferenti in materia di diritti umani e di eguaglianza.
E’ nelle zone rurali del Medio e dell’Alto Atlante, in Marocco, che sono disseminate tante cooperative femminili – sì, composte da sole donne (almeno un migliaio, assicurano) – con mediamente una quarantina di donne lavoratrici. E sono principalmente quelle donne che abitano nelle aree più disabitate e isolate, che non sanno leggere e scrivere e che hanno meno opportunità ad essere coinvolte e aggregate. Non è novità di ieri, è una realtà di fatto consolidata da tempo.
Così – ci dicono presso uno di questi centri – si dà loro un ruolo e un’importanza sociale prima impensabile. Amina, Zahia, Hanae, Laila, Malika e tante altre possono riscattare una vita altrimenti destinata all’emarginazione in quanto non hanno nessuno che le protegge o di stretta dipendenza (“protezione”, insistono alcune di loro) dal marito o dai parenti. Il lavoro diventa una via di emancipazione e di riscatto. Un modo con il quale le donne possono ritrovarsi e passare il tempo assieme, scambiarsi informazioni e anche chiacchierare piacevolmente in un contesto culturale e di legislazione per niente favorevole.
Tra Agadir, Essaouira e Ouarzazate sono numerose le cooperative di donne berbere che fanno parte dell’Union des Coopératives del Femmes de l’Arganeraie (UCFA) impegnate nella raccolta e nella lavorazione dell’argan (il frutto è come un’oliva) e dei suo derivati a scopo alimentare, medicamentoso e cosmetico. In una zona, quella rurale delle foreste d’argan nel sud-ovest del Marocco, dove l’analfabetismo tocca livelli altissimi, queste donne, grazie al loro reddito, si sono conquistate dei diritti e si possono permettere di finanziare asili e scuole materne per lasciare i figli piccoli durante le ore di lavoro (occorrono pressappoco otto ore di lavoro per estrarre un litro d’olio d’argan).
Anche i magazzini costruiti danno la possibilità di disporre sempre delle noci per soddisfare richieste e commesse esterne. Così ci si può pagare la costruzione di una piccola e modesta abitazione dove c’è persino l’elettricità, davvero un lusso in certi posti sperduti, e le donne stesse, come socie delle cooperative, decidono di volta in volta sugli investimenti e sulla redistribuzione degli utili.
Si alimenta così un circolo virtuoso di autosviluppo e di reale crescita complessiva dei livelli di vita di quelle comunità rurali, anche se rimane fortissima nelle ragazze e nelle donne più giovani l’attrattiva quasi irresistibile verso le città e i centri urbani a maggior afflusso turistico. Un modo per salvaguardare un’identità culturale e comunitaria e dare vita, impulso e sviluppo a territori altrimenti destinati allo spopolamento e alla dispersione.
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